Il mistero della realtà (Raffaello Cortina Editore, pagg. 300, euro 26) raccoglie dieci lezioni tenute da John Searle all'Università di Girona, nel 2015. In ciascuna di esse, il filosofo americano, allievo di Austin e «nipote» (intellettualmente parlando) di Frege, si occupa delle questioni ancora aperte per la filosofia del XXI secolo. Lo fa dal suo versante, quello della filosofia della mente e del linguaggio (che ha insegnato all'Università di Berkeley, dove oggi, a 86 anni, è professore emerito); quello della filosofia analitica, di cui è uno degli esponenti più celebri, grazie alla sua teoria degli «atti linguistici». E, in particolare, Searle affronta quella che per lui è «la vera domanda» per la filosofia oggi, ovvero: «Come è possibile conciliare ciò che pensiamo della realtà umana con la realtà più elementare descritta dalle scienze dure?».
Professor Searle, perché è questa la domanda fondamentale?
«Stiamo attraversando una specie di crisi intellettuale, perché la realtà umana e quella di base sembrano inconciliabili».
Qual è la differenza fra le due?
«La realtà di base è la realtà descritta dalla fisica e dalla chimica e dalle altre scienze dure. La realtà umana è la realtà della vita, della società e della coscienza umane. È costruita sulle fondamenta della realtà elementare. Il compito è proprio quello di descrivere come esse siano conciliabili, e come la realtà umana sia uno sviluppo della realtà di base».
E il problema mente-corpo?
«La soluzione al problema mente-corpo risiede nel capire che tutti i processi mentali sono una conseguenza della nostra natura biologica. La mente è, soprattutto, un fenomeno biologico».
La nostra mente è come un computer?
«No. Il computer è una macchina puramente sintattica. Le menti hanno un contenuto mentale o semantico. I computer manipolano simboli complessi, di solito pensati come costituiti da codici di zero e uno. Ma le menti umane hanno molto di più di semplici simboli. Hanno il significato. Nel caso del computer, l'unico significato viene attribuito dall'esterno».
Ma la nostra mente può funzionare in modo computazionale?
«Qualche volta noi facciamo dei calcoli, quando ci occupiamo di aritmetica di base; ma quando parliamo di politica o di economia, per esempio, i simboli sintattici non sono sufficienti. I simboli devono avere un significato».
Crede si possa creare un essere umano artificiale?
«Se gli esseri umani sono dei sistemi fisici - e lo sono - allora, in linea di principio, è possibile creare esseri umani artificiali. Il fatto è che noi non siamo ancora minimamente in grado di creare un essere umano artificiale: non sappiamo come riprodurne la biologia».
E una mente artificiale sarebbe possibile?
«Se uno fosse in grado di creare artificialmente la coscienza, allora potrebbe creare una mente artificiale. In ogni caso, noi non sappiamo come farlo, perché non abbiamo ancora capito come il cervello crei la coscienza».
Qual è la differenza fra umani e robot?
«Nessuno dei robot attuali è cosciente».
Lei contesta la teoria dell'Intelligenza artificiale forte. Lo fa grazie al ruolo della coscienza?
«L'Intelligenza artificiale forte è la teoria secondo la quale un computer digitale, adeguatamente programmato, non simula semplicemente una mente bensì, letteralmente, ha una mente. Nel mio argomento originario contro di essa, quello della stanza cinese, non ho mai fatto ricorso al concetto di coscienza. Ma una volta che ti rendi conto che la coscienza è essenziale, allora hai automaticamente confutato l'Intelligenza artificiale forte, perché i computer non sono coscienti».
Dice che la confusione fra processi computazionali e processi mentali dipende dal cartesianesimo. Non è paradossale che una teoria che descrive le nostre menti come «superiori» al corpo porti a considerarle inferiori a un computer?
«Sì, è paradossale. Ma il paradosso svanisce quando si comprende che il cartesianesimo non è riuscito a vedere l'aspetto biologico della mente».
Perché il cartesianesimo influenza ancora così tanto il nostro modo di pensare?
«Credo dipenda dal fatto che ci siamo formati su di esso, a scuola e in chiesa. Ci dicono che abbiamo una mente e un corpo. Questo è il cartesianesimo, ed è consacrato nel vocabolario».
Crede che, in futuro, un'Intelligenza artificiale potrà distruggerci?
«No. Nella fantascienza è possibile immaginare che i robot si ribelleranno e cacceranno gli umani. Ma è un'idea sciocca: i robot non hanno coscienza e, quindi, non hanno autonomia. Non hanno né pensieri né intenzioni».
Ma si può parlare dell'Intelligenza artificiale come di una vera intelligenza, alla fine?
«L'Intelligenza artificiale non è una vera intelligenza, perché non ha coscienza. Senza il pensiero è impossibile avere una vera intelligenza: lo smart phone è smart soltanto in senso metaforico».
Alla fine del libro racconta della sua amicizia con Michel Foucault.
«Ai loro livelli più elevati, filosofia analitica e continentale non sono così diverse. Foucault disse a un mio amico che, se solo fosse stato un po' più giovane e avesse parlato meglio l'inglese, si sarebbe trasferito negli Stati Uniti».
Chi considera i suoi «maestri»?
«I filosofi angloamericani non usano il concetto di maestri. Ma i miei insegnanti migliori sono stati Peter Strawson e J.L. Austin».
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