Merci e mercato? Altro che male fanno la felicità

L'Occidente è ossessionato da un pensiero: che le cose, specie quando si fanno merce, siano deprecabili e causa del male. Da sant'Agostino a Marx, è una lotta contro i beni, in quanto frutto del demonio o cristallizzazione dello sfruttamento del capitale. Eppure, nelle città moderne, i beni e le merci occupano tutto lo spazio possibile, acquistando una nuova dimensione morale su cui vale la pena indagare. Così almeno crede Emanuele Coccia, che insegna filosofia all'Ecole des Hauted Etudes en Sciences Sociales di Parigi, nel saggio Il bene nelle cose (il Mulino, pagg. 140, euro 12). Un libro terribilmente «contro corrente» rispetto alla vulgata, ma non estraneo alla realtà del mondo. Di fatto, noi moderni viviamo producendo, acquistando, vendendo, usando, desiderando merci; le adoriamo, le veneriamo come fossero reliquie, la consideriamo, «a giusto titolo», la forma più concreta di realizzazione della nostra felicità. Per questo Coccia, più da antropologo che da filosofo, prova a «riconoscere dietro un fenomeno pervasivo e onnipresente che è quasi esclusivamente descritto come produzione di un imprecisato male sociale» il fondo di verità, pensando «l'ordine reale non come il risultato di un potere che opprime e aliena ma come l'espressione di una libertà».


Basta osservare una metropoli, la cui essenza non può essere disgiunta da quella della comunicazione «murale» che in essa si compie e che decreta la dimensione eminentemente politica dello spazio pubblico; basta osservare le reclames, che sono ila seconda pelle dei muri delle città, come un tempo erano gli affreschi nelle cattedrali; basta osservare le vetrine dei negozi, piccoli templi dedicati alle merci in cui la luce non si spegne mai: e possiamo capire l'amore per i beni, un amore «rigorosamente e religiosamente effimero», ma capace di farci presagire una felicità a portata di mano non oltre le cose, bensì nelle cose, poiché non si dà uomo fuori dalla relazione con le cose: «Il sistema delle merci non fa che prolungare questo movimento, moltiplicando le fonti morali del valore fino a farle coincidere con la totalità delle cose, fino a fare di ogni cosa, la più banale, la meno duratura un'incarnazione del bene, fino a far coincidere bene e materia. Si tratta di un'ostinazione metafisica estrema, quella per cui si prova a far coincidere il bene con la materia». Un'ostinazione tutta contemporanea o forse radicata fin dal principio.

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