Bye bye Jenny McCarthy, quando sfilavi con soltanto un coprispalla leggero e gli stivali al ginocchio. Bye bye Rihanna, quando l'asciugamano lo usavi giusto per avvolgerti i capelli. Bye Bye Lindsay Lohan, che da quel lato non ti conoscevamo ancora.
Bye bye, Playboy .
Chiudendo un'epoca e aprendo un vuoto, Playboy dice basta alle foto di nudo, «easy access to such images online means they are passé », come recita un comunicato della maison , più stringato di un perizoma. Significa semplicemente che la più celebre rivista per maschi smette di pubblicare foto di donne nude perché - come ha riferito ieri al New York Times l'amministratore delegato della rivista, Scott Flanders - «ormai con un clic oggi nelle Rete puoi trovare tutto il sesso che vuoi».
Il nudo è uno dei pochi campi in cui anche il peggior video batte la carta più patinata. E così dal prossimo marzo si cambia. Sul magazine che ha fatto la storia dell'erotismo e qualcosa di più, d'ora in poi appariranno soltanto donne in pose provocantì, non più nudi integrali. Persino le playmate del mese non saranno più la stesse. Ci mancherete, bunny girls . Del resto il coniglio è un animaletto a cui ci si affeziona facilmente. Hugh Hefner lo ripete sempre: « Once a Playmate, always a Playmate », «Coniglietta una volta, coniglietta per sempre». E lettore di Playboy una volta, lettore di Playboy per sempre. Quel sempre è finito. E ora?
Ora si cambia completamente, si volta pagina, anche il paginone centrale, il leggendario centerfold . Nell'era del web scompaiono le conigliette che per oltre 60 anni, da quando la rivista fu fondata da Hugh Hefner nel 1953, hanno acceso l'immaginazione degli uomini, trainando una rivista che sfidava il bigottismo della destra e il femminismo della sinistra. La decisione - presa dai vertici dell'azienda con l'assenso del vecchio Hefner, che ad aprile compirà 90 anni - fa parte di una riprogettazione della rivista in un momento in cui, oltre alla generalizzata crisi della carta stampata, il facile accesso al sesso online rende le fotografie di nudo passé , «sorpassate». Ma la domanda è: «Se togli il nudo, cosa resta?». In realtà, al netto del dispiacere di perdere la splendida nudità delle donne più belle d'America e del mondo, parecchie cose.
La rivista che esordì nel dicembre del 1953 (prezzo: 50 centesimi di dollaro) con Marilyn Monroe in copertina, e che poi continuò Dolly Parton, Madonna, Sharon Stone, Naomi Campbell, più volte Pamela Anderson e che toccò il climax nel novembre 1972 con 7 milioni e centomila copie vendute nell'edizione che aveva nel paginone centrale la modella svedese Lena Sjööblom, si è sempre occupata di ben altro, oltre al sesso. Politica, società, moda, inchieste, letteratura.
La mission di Playboy è sempre stata il business, certo. Ma lo ha fatto eccitando il corpo e anche appagando la testa. Mentre il simpatico e irriguardoso coniglietto con il frac operava chiassosamente una vera rivoluzione del costume, togliendo quello di stoffa alle donne e cambiando quello mentale agli uomini, i redattori della rivista di Hugh Hefner cucinavano alto intrattenimento, se non cultura vera e propria (già nel primo numero vi erano articoli sul jazz, sul Decameron e su Sherlock Holmes), parlavano di arte, musica, design (le sontuose fotografie delle case di Hefner e dei «Playboy Club» dettarono il gusto dell'arredamento negli anni Sessanta-Settanta), mettevano in pagina racconti di grandi scrittori (ancora di recente sono apparse le firme di Margaret Atwood e Haruki Murakami) e soprattutto offrivano ogni mese ai lettori la strepitosa rubrica Playboy Interview che ebbe inizio nel settembre 1962 con Miles Davis e ha visto passare nel corso dei decenni celebrità assolute come John Lennon, Fidel Castro, Ayn Rand, Vladimir Nabokov, Gabriel García Márquez, Allen Ginsberg, Malcolm X, Kurt Vonnegut, Bertrand Russell, Salvador Dalí, Arthur C. Clarke...
Il brand di Playboy del resto, come si legge sul sito della maison, è quello di «un creatore di tendenze, un arbitro di stile e un'avanguardia per la libertà politica, sessuale ed economica». Le donne nude, a pensarci bene, sono la polpa. Attorno, anche se si nota poco, c'è altro. Hefner all'uscita del primo numero scrisse che il suo magazine sarebbe stato adatto a un pubblico maschile tra i 18 gli 80 anni, e in effetti per più di una generazione di americani Playboy è stato un rito culturale illecito e affascinante. Non si arriva a tanto soltanto sbattendo in pagina due tette.
Certo, Playboy non può essere più quello di una volta. Le vendite sono crollate dai 5,6 milioni di copie del 1975 alle 800mila di oggi. Il giornale è in perdita e vive delle vendite all'estero. E proprio per questo che deve attuare una nuova rivoluzione, non più sessuale ma editoriale. Per restare sempre se stesso è necessario trasformarsi, ma mantenendo la tradizione del giornalismo investigativo, delle interviste e della letteratura. I cambiamenti editoriali del rebranding di Playboy non per caso includono anche una scrittrice donna che ogni mese firmerà un pezzo sul sesso e molta più arte. Ci sarà meno spazio alle coloratissime conigliette svestite, molto di più al semplice nero su bianco degli articoli giornalistici. Il nuovo direttore, Cory Jones, nominato lo scorso luglio, ha detto al New York Times che allontanarsi dai nudi integrali è la strada giusta per cambiare in tempo. «Non fraintendetemi. Il dodicenne in me è molto deluso dal me attuale, ma è la cosa giusta da fare», ha sottolineato.
Tra così tanto sesso esplicito, virtuale, onnipresente e gratis, occorre qualcosa di diverso. Insomma, se una volta lo si diceva per mascherare l'imbarazzo, oggi si potrà dire legittimamente che si legge Playboy perché ci sono bellissimi articoli.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.