"Dürer, Melville e... io Tutti ossessionati da una balena inafferrabile"

Appassionato del Leviatano, lo scrittore inglese narra la caccia (vana) dell'artista al grande cetaceo

"Dürer, Melville e... io Tutti ossessionati da una balena inafferrabile"

Alla fine del 1520, Albrecht Dürer, in crisi d'ispirazione e di soldi (il suo mecenate Massimiliano I d'Asburgo era morto da quasi due anni), partì da Norimberga, dove era nato nel 1471 e dove morì nel 1528, per mettersi sulle tracce di una balena che si era spiaggiata a Zerikzee, in Zelanda. Come successo a molti altri prima e dopo di lui, la balena gli sfuggì, ma gli cambiò la vita, anche artistica, come racconta Albert e la balena (il Saggiatore, pagg. 312, euro 24), un bellissimo saggio fra arte, storia, letteratura e... cetacei, scritto da Philip Hoare, docente all'Università di Southampton e già autore di Leviatano ovvero la balena (Einaudi, 2013), con cui ha vinto il Bbc Samuel Johnson Prize nel 2009.

Philip Hoare, come nasce tanta passione per le balene?

«Risale a quando ero ragazzo, nel 1960, e vidi un film di Jacques Costeau. Avevo dodici anni, ancora non si parlava di balene in pericolo e delle campagne di Greenpeace. Poi, mia sorella e io convincemmo i nostri genitori a portarci a un Safari Park vicino a Windsor, dove c'erano i delfini».

E che cosa è successo?

«I delfini fecero il loro spettacolo, e subito dopo entrò un'orca, e fu pauroso, ma anche triste, vedere questo cetaceo maestoso costretto a stare in una piscina... Poi, nel 2001, il mio amico regista John Waters mi ha invitato a Cape Cod e lì sono andato in barca a vedere le balene».

Com'erano?

«Una è saltata fuori dall'acqua proprio davanti a me ed era enorme, lunga venti metri, come un angelo che spruzzasse acqua dalle sue ali... Per me è stata come una illuminazione, e una sfida: non avevo mai visto nulla di così straordinario. Ho incontrato Elton John e Mandela, ma niente è così carismatico: mi sono innamorato, e le balene sono diventate la mia ossessione».

Ossessione quanto?

«Uscivo in barca tre volte al giorno per vederle. Il mio amico Waters mi ha detto: scrivi, come terapia per non impazzire. Così ho fatto, e il mio primo libro è stato un bestseller. Poi, quando ho scoperto che anche Dürer era ossessionato dall'idea di vedere la balena e cercare di disegnarla, ho capito che questa era un'altra versione di Moby Dick, che la sua era l'ossessione del capitano Achab. E, anche, la mia ossessione, attraverso la sua arte e la sua storia».

Che immagine si è fatto di Dürer?

«Per me è l'uomo, molto elegante, del suo Autoritratto; molto Salvator Mundi. Infatti si pensa che abbia incontrato Leonardo da Vinci, anche se non ci sono prove. In ogni caso aveva questi capelli lunghi e ondulati, come Leonardo. E a Norimberga era un po' un italiano chic: diceva che in Italia lo trattavano come un lord, mentre in Germania lo consideravano un parassita».

Di successo però.

«Sì, era l'artista più famoso del Nord Europa, l'uomo del Rinascimento, che voleva portare la cultura italiana a Norimberga. Il modo in cui ritrae la natura è unico: si pensi alle piante, o al Rinoceronte, che riproduce in modo quasi fotografico. Ho visto tutte le sue opere appena prima della pandemia, girando nei vari musei».

Quale l'ha colpita di più?

«Melancholia I: davvero in essa mi è sembrato di sentire il suo spirito. Dürer era l'Andy Warhol del suo tempo: stampava le sue opere, e questo lo rende unico e moderno, perché anche persone comuni potevano possedere un'opera d'arte, senza pagarla cifre eccessive».

C'è un legame fra la malinconia e la ricerca della balena?

«Sì, questo stato di malinconia è uno stato di ispirazione, e io credo che Dürer si sentisse così nei confronti della balena, qualcosa di altrettanto strano ed enigmatico. La balena era il supremo oggetto naturale irraggiungibile: Dürer non la vide mai, eppure cambiò la sua vita».

Come?

«Innanzitutto, in Zelanda prese la malaria che, infine, lo uccise. E poi dopo quel viaggio cercò di spingere la sua arte verso punte estreme. Tanto che le sue tecniche di incisione sono impossibili da riprodurre, perfino oggi: ci hanno provato in molti, ma nessuno ci è riuscito. Sono come un miracolo».

Però non disegnò la balena.

«No. Ci provarono alcuni suoi epigoni, per esempio Jan Saenredam, che incise una balena; e, se la si osserva, si capisce che è una versione dell'angelo di Melancholia: un lavoro allegorico, accurato, qualcosa di reale che è diventato mitologico».

Che approccio poteva avere Dürer verso una creatura come una balena?

«Credeva nella scienza e nelle meraviglie; era cristiano, ma credeva anche in cose pagane, come il fatto di essere governato dalle stelle e dalla malinconia... In lui ritroviamo l'alchimia e la superstizione del Medioevo e il mondo moderno, con la stampa, che è più rivoluzionaria di internet: ecco, lui dipinge fra questi due mondi, e per questo è così interessante».

Che cosa rappresenta la balena per lui?

«È un animale biblico, il Leviatano della Genesi, ma è, anche, quelle ossa gigantesche che vede esposte a Amsterdam e che, si dice, siano ossa di drago, che tengono lontana la peste, come le reliquie dei santi... Ora Dürer, che ha la testa piena di simboli e superstizioni, ma fa stampe, che è un po' come fossero i videogame o le animazioni di oggi, dentro le sue opere mette i draghi e altri animali affascinanti; ed è anche per questo che le persone lo amano, come oggi amano la fantascienza. Del resto, allora non c'erano i film o i romanzi».

C'erano le stampe di Dürer?

«Sì, queste immagini sono come i romanzi per noi, come Il signore degli anelli o Harry Potter: portano in un altro mondo. E lo fanno con un realismo impressionante, che poteva perfino spaventare, se si pensa che parliamo di 500 anni prima della fotografia: Dürer ricreava il mondo, come Dio, e pensava di avere le mani di Dio».

Un po' è vero?

«Dürer elabora una visione futura di un'età dell'oro dell'arte e si considera un artista, non più un artigiano: e questa è una transizione straordinaria, che parte dall'Italia e passa attraverso Norimberga, che era un po' la Silicon Valley dell'epoca, dove erano al lavoro cento macchine da stampa. La prima copia del Milione viene stampata lì».

Che cosa fa Dürer tra il viaggio e la sua morte?

«Prima del viaggio è depresso, non ha ispirazione, non sa che cosa fare; poi viene attratto da questa esperienza, a cinquant'anni, e inizia a creare cose incredibili e a scrivere dell'arte, ha delle visioni del futuro, dipinge i suoi sogni, si considera un artista e ha degli studenti che lo seguono. È come se sapesse che non gli resta molto tempo, e dipinge cose straordinarie».

Grazie alla balena che non vede?

«La maggior parte delle persone, nel mondo, non vede mai una balena, eppure sa che esiste. Il paradosso è proprio questo: è l'animale più grande del mondo, che si trova nella Bibbia e in molti miti della creazione, e nessuno lo vede...».

Però si può riprodurre anche ciò che non si vede.

«È quello che Dürer fa con il rinoceronte: non lo ha mai visto, ma lo disegna; e,

per secoli, la gente crede che il rinoceronte sia fatto come lo ha immaginato Dürer. Però non fa lo stesso con la balena. E io mi chiedo: la sorte delle balene sarebbe forse stata diversa, se Dürer ne avesse dipinta una?».

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