DIABOLIK

In un libro la storia delle sorelle Giussani, le due editrici milanesi che nel ’62 inventarono il criminale più famoso d’Italia. Ribaltando il nostro concetto di eroe...

DIABOLIK

C’è anche chi ha contato tutti i morti ammazzati nella sua carriera criminale (circa 1.100, il 32% delle quali pugnalati), e chi ha quantificato l’entità delle rapine (due miliardi di euro, la maggior parte in oro e gioielli, al netto di opere d’arte «inestimabili»).
Swisss. Diabolik entrò in scena, silenzioso come il sibilo del suo pugnale, un nebbiosissimo e grigio inizio di novembre - i giorni dei morti - del 1962, un mese dopo lo schianto di Enrico Mattei nelle campagne di Bascapè e uno prima del collaudo della linea 1 della metropolitana milanese. Un fumetto rivoluzionario e ribelle come il suo protagonista negativo, capobanda di una lunga serie di «eroi in nero», tutti marchiati nel nome con una rigorosa K, da Kriminal a Satanik, che avrebbero da lì a poco infestato le italiche letture. Il primo numero dell’allora bimestrale Diabolik - titolo: «Il Re del Terrore», oggi un cult - apparve nelle edicole in poche migliaia di copie (quasi solo nel Nord e quasi solo nelle stazioni ferroviarie). Oggi, 45 anni dopo, gli albi totali venduti superano i 150 milioni, con una media annua di tre milioni fra nuovi numeri, speciali e ristampe. È l’unico grande fumetto nostrano (insieme al vecchio Tex) che ha passato indenne il giro del secolo ed è diventato un fenomeno sociale sconfinando dal fumetto al cinema, al romanzo, le figurine, le canzoni, la pubblicità, i videogame... Era nato per essere letto in treno dai pendolari e sotto il banco dagli studenti: è diventato una meravigliosa icona pop.
Come ogni (anti)eroe che si rispetti, Diabolik nella fiction non ha madre né padre, solo un’amante fedelissima (la blondissima Eva) e un acerrimo nemico (l’alter ego Ginko, anche lui con quella dannata, fortunatissima K...), ma nella realtà di madre ne ha (ahinoi: ne ebbe) addirittura due: bellissime (entrambe con un passato di modelle, sportivissime, eleganti), protagoniste del jet set europeo (le grandi capitali, la Côte d’Azur di tanti diabolici inseguimenti e di Grace Kelly così somigliante a Lady Kant...), indipendenti e anticonformiste (la maggiore delle due fu tra le pochissime donne in Italia ad avere la patente negli anni Quaranta e un brevetto di volo nei Cinquanta), soprattutto editrici e sceneggiatrici ben poco in sintonia con lo spirito dell’Italietta religiosamente Dc pur portando il cognome - ma è solo un’omonimia - di uno dei più grandi spiriti religiosi del secolo: Giussani. Di nome invece facevano Angela, la più grande, e Luciana, la minore, ovvero Le Regine del Terrore come da titolo del libro di Davide Barzi scritto con l’aiuto di Tito Faraci e da poco pubblicato dalle Edizioni BD (pagg. 224, euro 13) che ripercorre l’avventura delle due ragazze della Milano bene che inventarono Diabolik.
La Milano bene delle Suore Marcelline di piazza Tommaseo, dove studiano Angela e Luciana, rampolle della florida borghesia meneghina; la Milano capitale del boom di iniziative editoriali del dopoguerra dove nasce la casa editrice Astorina che pubblica le avventure del ladro dagli occhi di ghiaccio («lui» fu disegnato pensando all’attore Robert Taylor); la Milano operosa e discreta che si vedeva dagli uffici delle due Giussani (e di Gino Sansoni, marito di Angela) che si affacciava su piazzale Cadorna. È lì, guardando il flusso di pendolari che Angela e Luciana - così narra la leggenda - ebbero l’idea di un fumetto dalle storie coinvolgenti e dal formato pratico, 12x17, che tenesse occupato un lettore giusto il tempo del viaggio Saronno-Milano a/r...
Attraverso idee geniali (quella di calare nel feuilletton un criminale in calzamaglia nera, un po’ Fontomas un po’ Arsenio Lupin), sequestri e processi (il «genio del Male» scandalizzò pretori e parlamentari dell’Italia benpensante) e una concorrenza spietata, Diabolik ha percorso storia e costumi di mezzo secolo. Sopravvissuto alle sue due madri - Angela è morta nell’87, Luciana sei anni fa - e schieratosi, purtroppo, dalla parte del politically correct (da tempo usa solo aghi narcotizzanti, non uccide più poliziotti e si commuove per gli animali vivisezionati...

), il Re del Terrore ha retto il passo con i tempi e con le mode, dimostrando di essere qualcosa più di un fumetto. È stato una «figura», prima della trasgressione e poi della conservazione. Come le età dei suoi milioni di lettori, incendiari a quindici anni, pompieri a cinquanta. Ma sempre in formissima.

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