"Ha raggiunto il punto di ebollizione": alta tensione nel Mar Cinese Meridionale

Alla questione Taiwan si è ormai aggiunto anche il dossier Filippine. Perché le acque del Mar Cinese Meridionale sono agitate e cosa c'entrano Cina e Stati Uniti

"Ha raggiunto il punto di ebollizione": alta tensione nel Mar Cinese Meridionale
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Non solo la questione Taiwan e il risiko marittimo tra Stati Uniti e Cina. È spuntato un altro dossier a scaldare ulteriormente le già agitatissime acque del Mar Cinese Meridionale: quello che chiama in causa le Filippine. Già, perché già da un paio di anni le tensioni tra Pechino e Manila hanno raggiunto livelli preoccupanti. A tutto ciò va aggiunto un altro tassello, forse quello fondamentale: le capacità marittime cinesi sono migliorate al punto che per il Dragone spingere gli Stati Uniti fuori dalla cosiddetta prima catena di isole - la linea strategica di isole che si estende dall'arcipelago giapponese verso Taiwan, le Filippine e il Borneo, e che funge da barriera naturale tra la terraferma dell'Asia orientale e l'Oceano Pacifico - non è più un sogno ma un risultato sempre più plausibile...

Cosa succede nel Mar Cinese Meridionale

In poche parole, sommando tutti i punti caldi presenti nella regione, c'è chi crede che il Mar Cinese Meridionale sia arrivato al punto (geopolitico) di ebollizione. The Dispatch ha parlato di una "Cina sempre più fiduciosa e bellicosa", e scritto che le Filippine stanno affrontando quella che "equivale ad un'occupazione marittima su larga scala della loro zona economica esclusiva riconosciuta a livello internazionale" da parte di un rivale ostile. Del resto, nel corso degli ultimi mesi, Pechino ha ripetutamente attaccato, bloccato e speronato navi filippine, utilizzando anche armi non letali ma pericolose, come laser, idranti e dispositivi acustici a lungo raggio, accrescendo a dismisura il rischio che da un incidente del genere possa nascere un conflitto vero e proprio.

Anche perché – particolare da non ignorare – Manila ha rafforzato il proprio legame diplomatico e militare con Washington e con i partner Usa nell'Indo-Pacifico. Non solo: gli Stati Uniti hanno scelto di mantenere a tempo indeterminato il loro sistema missilistico a medio raggio Typhon nel Paese asiatico, in una chiara mossa volta a contrastare il Dragone nell'intera regione. Il sistema citato, in grado di lanciare missili da crociera Tomahawk e missili multiuso SM-6 "Standard" e, potenzialmente, di colpire obiettivi nella Cina continentale, era stato inizialmente utilizzato per esercitazioni congiunte svoltesi ad aprile. Donald Trump si troverà, dunque, molto probabilmente ad affrontare un rebus complicato da risolvere, con Pechino molto più forte rispetto ai tempi del suo primo mandato come presidente degli Usa, e con una situazione internazionale ancora più tesa.

Nuove sfide, vecchie tensioni

Da questo punto di vista, l'analista Ray Powell ha lanciato alcuni suggerimenti all'amministrazione Trump. A suo dire, in primo luogo il nuovo governo guidato da The Donald dovrebbe annunciare in anticipo l'intenzione di collaborare con le Filippine per esplorare congiuntamente Reed Bank, un'area dove si ritiene che giacciano 55 trilioni di piedi cubi di gas naturale, ma che Manila non ha mai sfruttato a causa delle tensioni con Pechino.

Gli Usa dovrebbero quindi respingere qualsiasi affermazione della Cina secondo cui i movimenti americani attraverso le acque internazionali nel Mar Cinese Meridionale sarebbero soggetti al veto del governo cinese.

Secondo Powell, inoltre, Washington dovrebbe anche valutare l'aggiunta di uno o due avamposti nel Mar delle Filippine occidentali all'elenco dei nove siti di attività di cooperazione di difesa rafforzata attualmente in fase di sviluppo congiunto con Manila. Aprire un ombrello più grande sulle Filippine rischia però di lasciare scoperta Taiwan. E, aspetto ancor più enigmatico, di scatenare un'escalation imprevedibile.

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