Tank, caccia e arsenali vuoti: l'Europa a secco di armamenti e i rischi per la guerra

L'Europa fatica a riempire i suoi arsenali per via della lentezza della ripartenza del complesso militare industriale. Un fatto che avrà un peso nel sostegno all'Ucraina

Tank, caccia e arsenali vuoti: l'Europa a secco di armamenti e i rischi per la guerra

Da tempo il conflitto in Ucraina ha dimostrato le debolezze della base industriale militare occidentale: l'elevato consumo di mezzi e munizioni al fronte ha dissipato scorte che l'industria bellica fatica a ristabilire per via della sua stessa architettura, basata su contratti che una volta evasi determinano la chiusura delle rispettive linee produttive, e per via, ovviamente, del clima di smobilitazione generale instauratosi a cominciare dal termine della Guerra Fredda.

Se gli Stati Uniti – i primi a lanciare questo allarme ormai più di un anno fa – hanno preso provvedimenti con un'iniezione di fondi che ha determinato la riapertura di linee produttive che lavorano, in alcuni casi, su tre turni 24 ore al giorno, da questa parte dell'Atlantico si fatica ad aumentare i ritmi di produzione e a invertire una tendenza in atto da tre decenni.

Per chiarire meglio il fenomeno è opportuno dare uno sguardo alla condizione degli eserciti di due Stati europei che rappresentano le potenze militari di punta del Vecchio Continente: il Regno Unito e la Francia.

Il peso dei tagli al bilancio britannico

Londra negli ultimi anni ha intrapreso una politica di tagli al bilancio della Difesa che ha impattato notevolmente sulle sue capacità belliche, che da alcuni analisti e politici britannici vengono considerate non idonee non solo a sostenere lo sforzo ucraino, ma anche a perseguire la politica estera e di sicurezza nazionale.

Un breve rapporto del ministero della Difesa inglese pubblicato lo scorso settembre, riferisce che al primo aprile 2023 c'erano 3207 pezzi di equipaggiamento da combattimento, con una riduzione di 433 piattaforme dal 2022. Questo è dovuto principalmente al previsto ritiro dal servizio dello Scimitar (un veicolo corazzato leggero da ricognizione) per essere sostituito dall'Ajax, nonché per via delle piattaforme donate all'Ucraina.

La maggior parte dell'equipaggiamento da combattimento era rappresentato da Pmv (Protected Mobility Vehicle) col 46% del totale, seguito da Afv (Armoured Fighting Vehicle) e Apc (Armoured Personnel Carrier) che rappresentavano rispettivamente il 28% e il 26%. Sempre ad aprile 2023, le forze armate del Regno Unito disponevano di 212 pezzi di artiglieria e 148 di equipaggiamento tecnico. Ancora una volta la riduzione del numero di pezzi di artiglieria da 244 a 212 è dovuta a donazioni all'Ucraina.

Se pensiamo invece agli Mbt (Main Battle Tank), la situazione è forse ancora più critica: l'esercito britannico dispone, sulla carta, di 214 Challenger 2, ma ne è prevista una riduzione in quanto solo 143 di essi sono in fase di modernizzazione allo standard successivo (Challenger 3), solamente a partire dal 2027.

Les jours de gloire sont terminés

Passando alla Francia – che non ha contribuito allo sforzo bellico ucraino come il Regno Unito – la situazione è forse peggiore: attualmente, per fare un esempio, nell'Armée de Terre sono in servizio 58 obici semoventi Caesar considerando che 30 sono stati ceduti all'Ucraina, a cui si sommano 33 Amx AuF1. In totale, quindi, 91 mezzi di questo tipo, che sono equivalenti all'incirca a quanti ne perde la Russia al fronte in una giornata di combattimenti.

Attualmente non vi è alcun pericolo militare immediato per l’Europa da parte della Russia, e i leader militari e politici occidentali pensano che Mosca sia per ora contenuta dalla guerra di logoramento in Ucraina, ma se alla fine la Russia dovesse vincere, pochi dubitano della sua capacità di riarmarsi completamente entro tre o quattro anni e probabilmente causare problemi altrove.

A tal proposito in Germania, che ha avviato da poco un progetto di riarmo importante ma che fatica a concretizzarsi, non hanno dubbi: per lo Stato maggiore tedesco, il pericolo maggiore è dato da un possibile conflitto convenzionale in Europa che vedrebbe le divisioni corazzate russe penetrare nel cuore del continente sulla falsa riga di quanto postulato dai comandi sovietici durante la Guerra Fredda, e l'esercito di Berlino al momento non è in grado di affrontare e respingere tale minaccia.

Pochi fondi significa rallentare la ripartenza industriale

Gran parte della capacità industriale europea di produrre armi si è erosa nel corso di anni di tagli al bilancio, e invertire la situazione è una sfida difficile da vincere in un momento in cui la maggior parte dei governi europei deve far fronte a vincoli di bilancio in un contesto di crescita economica lenta e invecchiamento della popolazione, nonché di una forte opposizione politica ai tagli richiesti alla spesa sociale per finanziare la Difesa.

L’Europa, fondamentalmente, si è sistematicamente smilitarizzata perché non aveva bisogno di spendere soldi grazie all’assenza di un’apparente minaccia e al dominio militare statunitense in tutto il mondo. La querelle legata al 2% del Pil per la Difesa avanzata dagli Usa in tempi pre bellici (a cominciare dal vertice Nato in Galles del 2014) è la dimostrazione di una tendenza difficile da invertire. La reazione è quindi lenta anche perché, giustamente, si cerca la strada del procurement interno all'Europa, sebbene alcuni Paesi della Nato abbiano preferito affidarsi immediatamente la mercato extraeuropeo, acquistando per la maggior parte sistemi di fabbricazione statunitense disponibili “sullo scaffale” o off the shelf.

La Polonia ne è il caso emblematico: negli ultimi anni, oltre ad aumentare vertiginosamente il proprio bilancio per la Difesa, ha piazzato ordini per Mbt, sistemi d'artiglieria e cacciabombardieri già disponibili sul mercato guardando agli Stati Uniti e alla Corea del Sud. Uno smacco per l'industria bellica europea dal costo di decine di miliardi di euro.

Questi fattori, ma soprattutto la lentezza della ripartenza dell'industria bellica europea, potrebbero facilmente avere un impatto determinante sul corso del conflitto in Ucraina. Le nazioni europee hanno promesso miliardi di aiuti a Kiev, ma hanno affermato di dover affrontare vincoli economici e limiti alla produzione di armi. Se gli Stati Uniti si ritirassero dal fornire la maggior parte degli aiuti (qualcosa che potrebbe accadere considerando la necessita statunitense di concentrarsi sul fronte indo-pacifico), l’Europa non avrebbe le scorte per compensare questa lacuna, né potrebbe rifornire l’Ucraina e ricostruire le proprie forze allo stesso tempo. Il capo del comitato militare della Nato, l’ammiraglio olandese Rob Bauer, ha affermato quest’anno che l’Europa ora potrebbe “vedere il fondo del barile” in termini di ciò che potrebbe offrire all’Ucraina.

Il Wall Street Journal, riferisce che secondo i dati della Nato, la spesa militare tra i paesi dell'Alleanza è scesa da circa il 3% del Pil durante la Guerra Fredda a circa l’1,3% nel 2014. Le cose hanno cominciato a cambiare dopo l’invasione russa della Crimea nel 2014, ma lentamente e diversi Paesi, tra cui l'Italia, non hanno ancora raggiunto l'obiettivo del 2% fissato in Galles. Secondo il Parlamento europeo, negli ultimi dieci anni la spesa per la Difesa dell’Ue è aumentata del 20%, ma nello stesso periodo Russia e Cina hanno aumentato i loro bilanci nello stesso settore rispettivamente di quasi il 300% il 600%.

Gli eventi in Crimea e Donbass del 2014, e prima ancora quelli in Georgia del 2008,

avrebbero dovuto destare l'Europa dalla sua sonnolenza, ma da questa parte dell'Atlantico sembra che il risveglio dal sogno di una pace duratura sia alquanto lento nonostante lo scoppio dell'attuale conflitto in Ucraina.

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