Il diktat del dalemiano: soldi ai Ds o niente affari

Opposizione nel caos. L’ex presidente dell’Autorità portuale Nerli, big campano della fondazione, avrebbe imposto agli imprenditori contributi per le cene elettorali di Baffino, Bassolino e Fassino

Il diktat del dalemiano: 
soldi ai Ds o niente affari

Gian Marco Chiocci - Patricia Tagliaferri

Roma - Fra le storie che i «giornali di serie B» (copyright D’Alema) non dovrebbero raccontare ve n’è una che Baffino eviterebbe volentieri di leggere in campagna elettorale. È quella dei contributi «volontari» che il suo fedelissimo in Campania, Francesco Nerli, componente della dalemiana Fondazione Italianieuropei, ex parlamentare Pds, già presidente dell’Autorità portuale di Napoli (al centro dell’inchiesta romana sulle false fatturazioni e sugli appalti vinti dalle società del «giro» del braccio destro di D’Alema, Vincenzo Morichini) avrebbe imposto a un gruppo di imprenditori locali. Versamenti «spontanei» che tanto spontanei, però, non sarebbero stati secondo il gip Loredana Di Girolamo che ha rinviato a giudizio per concussione aggravata e continuata Nervi e due suoi sottoposti.
Elargizioni sostanziose, stando a quanto emerso nell’inchiesta approdata in dibattimento: dai 5 ai 25mila euro per cene elettorali dal 2005 al 2007 di D’Alema, dell’ex sindaco Bassolino, dell’aspirante sindaco di Torino, Piero Fassino. All’apparenza tutto in regola, visto che le dazioni di denaro venivano iscritte a bilancio. In realtà il pagamento «spontaneo» sarebbe servito a evitare inconvenienti legati ai controlli e alle concessioni dell’area portuale. Il reato contestato, infatti, non è il finanziamento illecito ma la concussione. L’ex presidente dell’Autorità portuale avrebbe consigliato a tredici imprenditori di mettere mano al portafogli per poter lavorare tranquillamente nel porto di Napoli. E lo avrebbe fatto facendo leva «sulla loro situazione di soggezione nei confronti del presidente».
Le indagini della Guardia di Finanza sono partite dal sequestro di un documento con le cifre pagate dai vari manager, documento sul quale Nerli e la sua segretaria si sono rimpallati la responsabilità: «Rita Convertino mi mise al corrente che intendeva chiedere finanziamenti per i Ds anche agli imprenditori del porto – spiega Nerli – mi limitai a suggerirle che avanzasse questa richiesta solo a chi aveva una posizione consolidata nel porto. Al termine della campagna elettorale 2005 la signora mi disse di aver fatto un elenco di coloro che avevano erogato il contributo conservando la matrice degli assegni. E mi diede una copia dell’elenco». Di segno opposto la versione della Convertino: «Non ho chiesto contributi neanche ai miei parenti».
Gli imprenditori «tartassati», interrogati, pur tra mille tentennamenti non hanno potuto fare a meno di confermare. È il gip a fare l’elenco delle dazioni sospette: «Nerli e Convertino inducevano in più riprese Palumbo Antonio, concessionario dell’autorità portuale di Napoli, amministratore della Palombo Spa, a versare ai Ds la somma di 25mila euro». Lo stesso trattamento veniva riservato da Nerli, o chi per lui, a Marco Di Stefano amministratore della Sispi (22.500 euro), Alberto Scotti e Nicola Salzano De Luna della Technital e Servizi Integrati (30mila euro), Erik Klingeber della Magazzini Generali Silos (14mila euro), Francesco Tavassi della Logistica Campania e della Temi (10mila euro), Luigi Salvatori della Cantieri Mediterraneo (8mila euro), Pasquale Legora De Feo della Co.na.te.co e Coscon Italy (20mila euro), Ugo Improta della Terminal Traghetti Napoli (9.600 euro), Emanuele D’Abundo della Medmar Navi (5mila euro).
I manager hanno ammesso d’aver pagato migliaia di euro per cene elettorali a cui spesso nemmeno andavano. Su tutti Erik Klingeberg: «Nella stessa serata mi sono ritrovato a finanziare due cene. Quella di Bassolino, per 10mila euro, e quella per Fini per una cifra inferiore. Mi chiesi se era il caso di mangiarmi la bistecca di destra o quella di sinistra, alla fine giunsi alla conclusione di non mangiarne nessuna». Pagavano, gli imprenditori del Porto, perché «pagavano tutti» e soprattutto perché non conveniva rifiutare l’invito. Antonio Palumbo la mette così: «Ho erogato contributi ai Ds nel 2006 per 15mila euro (...). La segretaria di Nerli mi disse che era gradito che gli invitati alla cena comprassero una sorta di ticket (...). Non mi sono sentito di sottrarmi, del resto nel Porto lo fanno tutti, e certo non potevo essere l’unico a non farlo». Alberto Scotti non è da meno: «Ho ritenuto di fare gli interessi della mia impresa assecondando questa richiesta, anche se non sono un attivista politico e dunque il finanziamento non è stato da me erogato per motivi ideali. Si aderisce perché è chiaro che sarebbe controproducente assumere un atteggiamento negativo». Con questa nobile motivazione Scotti sborsò denaro per la cena del 27 marzo 2006 all’Hotel Royal cui era prevista la partecipazione di D’Alema. Alla stessa cena contribuisce comprando cinque biglietti anche Nicola De Luna Salzano: «Per mantenere buoni rapporti con l’ente con cui uno lavora si è indotti a esaudire tali richieste». Emanuele D’Abundo pagò senza farsi domande. «Mio padre venne contattato da Nerli o dalla sua segretaria per aderire a una iniziativa organizzata in occasione della campagna elettorale dei Ds, si trattava di una cena con Fassino o D’Alema. Sborsammo una certa somma, ma non ricordo l’importo».

Marco Di Stefano della SiSpi confessa d’aver contribuito «a estinguere debiti dei Ds, per chiudere le sedi non più operative, dopo la creazione del Pd (...). Attinsi anche ai miei fondi personali…». Cosa non si fa per mandare avanti la baracca.

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