E Pechino è già pronta alla rappresaglia mettendo al bando le serie tv coreane

La Cina, irritata dall'ondata che arriva da Seul, cerca di correre ai ripari

Se negli anni Settanta la diplomazia si giocava sui tavoli da ping-pong, oggi si combatte a colpi di show televisivi. A inizio luglio Corea del Sud e Stati Uniti hanno annunciato ufficialmente l'inizio delle operazioni per l'istallazione del Thaad, il sistema missilistico difensivo di alta quota, che dovrebbe entrare in funzione dal prossimo anno. Dislocato lungo il 38° parallelo sulla carta è destinato a proteggere almeno i due terzi del territorio della Corea del Sud contro i missili balistici a raggio intermedio che potrebbero essere lanciati da Pyongyang. Verrà installato entro la fine del 2017 a Seongju, una cittadina rurale del sud est del Paese. Ma a Pechino, e anche a Mosca, sono convinti che possa fornire un vantaggio strategico agli americani in chiave anti-cinese, perché ritengono che attraverso il Thaad gli Stati Uniti possano meglio tracciare i missili russi e cinesi. L'irritazione di Pechino è grande, al punto che il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha dichiarato che «la decisione di proseguire nel programma Thaad minaccia la fiducia reciproca tra le due nazioni». L'irritazione a parole si è trasformata in vaghe minacce ufficiosi di ritorsioni se il progetto non viene cancellato. Che tipo di ritorsioni? Semplice: il bando delle serie tv coreane dagli schermi di tutta la Cina. La dimostrazione concreta, se ce ne fosse bisogno, dell'incredibile penetrazione dell'Hallyu coreana. La Cina rappresenta infatti il mercato più importante per le esportazioni di prodotti pop coreani. Per ora si è trattato di un avviso della autorità ai canali televisivi: meglio non invitare star come Song Joong-ki, protagonista delle sedici puntate di Descendants of the Sun, o Kim Soohyun, che ha interpretato un alieno nella fortunata serie My Love From the Stars. In caso contrario gli show non riceveranno il visto dalla censura.

Le sole voci di un bando sul mercato cinese hanno portato a un crollo delle azioni delle principali case di produzione televisive coreane, che in pochi giorni hanno perso oltre 325 milioni di dollari di valore. Il bando, non confermato dalle fonti ufficiali di Pechino, sarebbe totale. Per ora alcuni canali hanno iniziato a cautelarsi spostando fuori dal prime time i programmi coreani. Ma in un futuro non troppo lontano Cctv, la televisione nazionale cinese, e le altre emittenti cinesi non potranno più trasmettere show coreani. E le case di produzioni cinesi hanno ricevuto l'avviso di non proseguire nei progetti di produzioni sino-coreane. Ma le sanzioni potrebbero riguardare anche i viaggi dei cinesi in Corea del Sud. I turisti cinesi infatti rappresentano quasi il 50% dei 13 milioni di stranieri in visita nella penisola coreana. Ad attrarli non sono certo le bellezze paesaggistiche del Paese (invero abbastanza limitate), ma la possibilità di toccare con mano lo stile di vita coreano e di fare incetta dei prodotti, soprattutto cosmetici, reclamizzati delle star di Seul, ormai considerati il canone di bellezza il tutta l'Asia orientale. Un passione sfrenata per lo shopping, al punto che il turista cinese medio spende sei volte in più di un giapponese. Come reagirà il popolo cinese, si ribellerà alla cacciata delle star coreane? L'agenzia di stampa di stato cinese Xinhua è sicura.

«Un recente sondaggio ha mostrato che quattro quinti della popolazione cinese sosterrebbe il bando deciso dal governo. Un dato che riflette l'amore per il proprio Paese dei cittadini che viene prima della passione per le star». Se lo dicono loro.

Tino Mantarro

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