Un eccesso di legittima difesa

Il Senatùr ha parlato. «Se la Lombardia chiude i rubinetti l’Italia muore in cinque giorni perché vivono con i soldi dei lombardi». E, tanto per gradire, ha continuato: «I lombardi non hanno mai tirato fuori i fucili, ma c’è sempre una prima volta». Il putiferio. Ne hanno dette di tutti i colori e, forse - lo diciamo con affetto per il Senatùr -, poteva anche dire diversamente. A nostro modesto avviso non serve né al popolo padano né a lui. E fin qui uno ci potrebbe dire: non sono fatti tuoi. Il problema è che non giova al centrodestra, e qui cominciano i fatti nostri. E siccome non siamo masochisti ci piacerebbe non farci del male.
Detto questo - che però non è poco -, che in Italia ci sia una questione fiscale sono rimasti in tre a non vederlo. In ordine di altezza: Visco, Prodi, Padoa-Schioppa. In sostanza 60 milioni di persone meno tre. Alle elezioni recenti il Nord ha voltato le spalle al governo. Piero Ostellino ha detto giustamente che il nostro Paese è diviso in due: il Nord che produce vota centrodestra, il Sud che redistribuisce vota centrosinistra. Peccato che Bossi abbia parlato dei fucili, perché la prima parte del ragionamento era esatta: se il Nord chiude i rubinetti si va tutti a casa.
Cos’è questa questione fiscale? Il lettore lo sa bene. La rinfreschiamo un po’. In questo Paese si pagano più tasse che nel resto del mondo. In questo Paese, oltre a pagarle, è anche difficile farlo: la macchina fiscale si sta complicando sempre di più. In questo Paese c’è una parte della classe dirigente (il centrosinistra) che pensa che chi produce (cioè ci mette del suo e rischia) qualcosa di sbagliato e contro la legge (gratta gratta) lo fa. Il contribuente italiano, lo abbiamo detto altre volte, è un presunto colpevole. Questo si chiama clima culturale e politico anti-industriale, anti-europeo, anti-moderno. E chi sa dell’economia reale (e non è il caso del professore bolognese) sa bene che un clima di fiducia generale spinge i consumi e gli investimenti. Viceversa, un clima di sospetto raffredda imprenditori e consumatori. Questo, purtroppo, è il clima che oggi c’è in Italia. Si respira un’aria di sospetto fiscale, e non è un caso il progressivo vertiginoso aumento della fuga dei capitali di investimento al di fuori di questo Paese. Per ogni affermazione di Prodi e di Visco la Svizzera e il Lussemburgo indicono feste nazionali. Se continuano così li fanno patroni di quei Paesi.
In questo contesto, storicamente, in Paesi democratici, in tempi non lontani ci sono state delle rivolte fiscali. Forse addirittura anche Prodi sa che gli Stati Uniti sono nati grazie a una rivolta fiscale. Era il 1700 e si ribellarono contro un potere che imponeva tasse senza averne il diritto e, soprattutto, senza rispetto dei criteri di base di giustizia fiscale. E il criterio è molto semplice: lo Stato non può prelevare tasse al punto tale da rendere improduttiva l’economia di un Paese. Perché quando si arriva a questo punto non scatta una scelta politica contro lo Stato, scatta un legittimo sentimento di resistenza contro l’ingiustizia. Sono distinzioni sottili che il nostro elettore capisce, ma che la rozzezza e l’impianto fiscale di questo governo non riesce a percepire.

Sarebbe come suonare un bel brano di musica innanzi a degli audiolesi. Ma a noi non importa questo, ci interessa maggiormente il sentimento di giustizia del popolo italiano. Per questo avremmo fatto volentieri a meno della seconda parte del discorso di Umberto Bossi. Non ce n’era bisogno.

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