La caduta di Rutte: lascia la politica il falco con l'ossessione dell'Italia

Mark Rutte lascia la politica: esce di scena l'uomo che più ha contrastato l'Italia in Europa negli ultimi anni

La caduta di Rutte: lascia la politica il falco con l'ossessione dell'Italia

Mark Rutte lascia la politica. L'annuncio del premier uscente olandese e leader del Vvd, il Partito liberale di Amsterdam, è arrivata nella giornata del 10 luglio dopo che le opposizioni avevano proposto una mozione di sfiducia nei suoi confronti. Rutte, che si era dimesso per il flop delle politiche migratorie del suo governo, avrebbe dovuto lasciare subito l'esecutivo qualora la mozione fosse passata. Ma ha risposto dichiarando che non si ricandiderà e che in ottobre il Vvd, primo partito d'Olanda, dovrà cercare un nuovo leader dopo la fine del suo quarto mandato.

Con Rutte, in carica dal 2010, esce di scena un falco anti-italiano avente ben pochi paragoni nel panorama europeo. Forse a Rutte si può accomunare solo il vicepresidente della Commissione e ex premier lettone Valdis Dombrovskis. Da tempo ossessionato con la censura di bilancio verso l'Italia e il rigore contabile, Rutte ha fatto dell'austerità un cavallo di battaglia. Arrivando a un passo dallo spaccare l'Europa in nome del rifiuto di ogni tipo di solidarietà. Anche dopo che le politiche rigoriste avevano mostrato tutti i suoi limiti.

Rutte ha una lunga storia da paladino del rigore. Il leader più longevo d'Europa dopo l'uscita di scena della "Cancelliera" Angela Merkel era al fianco di quest'ultima nei suoi primi due governi per sostenere l'austerità e il rigore germanocentrici, negli ultimi anni ha promosso un climax ascendente contro Roma. A prescindere da chi detenesse le redini del potere.

Ai tempi del governo Renzi fu il ministro delle finanze Jeroen Dijsselbloem a forzare i tentativi italiani di maggiore flessibilità sul deficit. Nel giugno 2019, poi, pochi mesi dopo la querelle tra il governo Conte I e la commissione Juncker sulla manovra, Rutte ventilò l'ipotesi di una procedura d'infrazione contro l'esecutivo M5S-Lega. "L'Italia non sta facendo nulla", disse Rutte a Giuseppe Conte accusando Roma di mettere a rischio i conti pubblici: un dato smentito dai fatti e dalle analisi della Banca d'Italia che rivelarono per il 2019, anno di applicazione della manovra gialloverde, un deficit inferiore a quello del 2018, in cui la manovra fu del governo Gentiloni.

Dal Conte I "populista" al Conte II "europeista" il Partito Democratico sostituì la Lega al fianco dei grillini in maggioranza. Cambiò tutto, cambiò la retorica del premier che si reinventò "punto di riferimento fortissimo dei progressisti" (Nicola Zingaretti dixit). Ma non cambiò la retorica di Rutte. Anzi, si rafforzò nel momento peggiore: la pandemia di Covid-19. Allo scoppio della quale Rutte fece muro contro i Paesi mediterranei travolti per primi dalla pandemia, a cui fece di tutto per negare nuovi aiuti e sostegno. Rutte si oppose nettamente all’ipotesi di utilizzare in risposta alla pandemia i fondi del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) senza condizionalità per gli Stati, alla scelta poi approvata dalla Commissione di sospendere il Patto di Stabilità e, infine, alla politica di emissione di Eurobond proposta da Conte, Emmanuel Macron e Pedro Sanchez per mutualizzare il debito.

Emblematico di quei tempi fu un video in cui Rutte si dichiarava pronto, dialogando con un operaio, a combattere per le richieste che l'interlocutore gli faceva: negare i fondi richiesti a Italia e Spagna. Un sintomo del clima dominante della nazione regina degli austeri, da sempre intenta a vedere l'Europa come un taxi e non come un sistema unitario.

A luglio 2020 ribadì che "l'Italia deve cavarsela da sola". Mentre il "falco" dei conti pubblici, Wopke Hoekstra, suggeriva dal suo ministero delle Finanze che la scelta ideale per Roma e i Paesi che chiedevano più spazi per il debito contro la pandemia fosse piuttosto di prendere il Mes così come era, memorandum e austerità di complemento inclusi: in una nota di quei tempi il ministero delle Finanze del governo Rutte si dichiarò interessato a "assicurare che un’appropriata forma di condizionalità sia osservata per ciascuno strumento, come richiesto anche dal trattato sul Mes in vigore". L'Olanda, che godeva dei “rebate” (rimborsi) sul budget europeo concessi in precedenza al Regno Unito, ha ottenuto di inserire forti condizionalità di vigilanza comunitaria sulla Recovery and Resilience Facility. Non ha finito però, con la sua banca centrale e il suo governo, di chiedere un pronto rientro dalla situazione emergenziale sulle regole. E anche dopo la caduta di Conte ha messo nel mirino Roma.

Mario Draghi, già posto sotto assedio da Dombrovskis, ha dovuto più volte penare anche con Rutte. Il quale si è risparmiato le critiche feroci degli anni precedenti, ma tra il 2021 e il 2022 ha colpito duramente l'Italia negando ogni prospettiva di strutturazione del Recovery Fund, di superamento delle regole e di tetto anticipato al prezzo del gas. E facendo muro esplicitamente contro Draghi che proponeva di rendere permanente la "cassa integrazione europea", il fondo Sure.

Da ultimo, anche per Giorgia Meloni è arrivato un rimbotto direttamente dal palcoscenico del Forum di Davos di gennaio. L'Italia è stata messa nel mirino assieme alla Francia in un panel che ha visto i super-falchi Rutte e Dombrovskis parlare assieme: "Dobbiamo fare riforme strutturali, in particolare delle pensioni, se si guarda all’Italia, alla Francia e altri spendono dal 10 al 15% del Pil nelle pensioni" aggiungendo poi che come Europa "dobbiamo ridurre l’indebitamento pubblico, che è ancora troppo alto in Italia, in Francia ed altri Paesi, alcuni grandi, e appesantisce la crescita". In soldoni un invito a ridurre il welfare pensionistico, in Italia viatico di difesa del risparmio e tutela dall'inflazione galoppante.

Questo il consolidato delle critiche di Rutte all'Italia negli ultimi anni. Un disco rotto che è ancora più stonato considerato che tali uscite vengono da parigrado, da leader che interferiva o pretendeva di farlo nella politica economica su cui lo Stato ha piena e totale sovranità. Nel frattempo, però, l'Europa andava avanti nelle sfide e nelle politiche a tutto campo di gestione del Covid, dell'inflazione, della crisi energetica, della guerra in Ucraina. Trovando sempre in Rutte un elemento anti-solidale, anche sul fronte del rincaro dei tassi deciso dalla Bce e della riforma del Patto di stabilità.

Aggiungendo, en passant, il rifiuto di aumentare la produzione di gas naturale nel campo di Groningen che avrebbe potuto aiutare l'autonomia energetica europea e favorire la crescita del Pil di Amsterdam. Dopo tredici anni di governo, insomma, Rutte lascerà la politica con un'agenda in larga parte sconfessata e superata dalla storia. In una fase in cui si parla di futuro del Vecchio Continente di fronte a sfide epocali, l'Olanda guarda al passato e si ancora frenando l'Europa.

E questo in primo luogo per responsabilità di Rutte, che ha cavalcato l'innata propensione nazionale a considerare altro da sé l'Europa mediterranea. Un problema per la stessa credibilità olandese in Europa che chi sostituirà lo storico premier del Paese dovrà tenere in considerazione.

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