Affrontare la crisi energetica: occorrono misure progressive e differenziate nel tempo

Secondo il recente studio A2A-Ambrosetti, l’Italia è quintultima tra i 27 membri dell’UE con un indice di autonomia energetica del 22,5%, rispetto a una media UE del 39,5% (dati 2019)

Matteo Codazzi, CEO di CESI
Matteo Codazzi, CEO di CESI

Secondo il recente studio A2A-Ambrosetti, l’Italia è quintultima tra i 27 membri dell’UE con un indice di autonomia energetica del 22,5%, rispetto a una media UE del 39,5% (dati 2019). La limitata autonomia energetica del nostro Paese si manifesta, in particolare, nel gas naturale: su un fabbisogno annuo di 76 miliardi di metri cubi (bcm) nel 2021, l’import di gas è stato del 96%, di cui il 38%, 29 miliardi, dalla Russia. In un’intervista dello scorso febbraio, prima della guerra in Ucraina, l’ex-AD di Enel ed Eni, Paolo Scaroni, indicava come bisognasse aumentare la produzione nazionale di gas. Nel giro di 24 mesi si sarebbe potuti arrivare a coprire fino al 20-25% della domanda interna. Tra l’altro, sempre secondo Scaroni, “con le royalty aggiuntive che lo stato incasserebbe, si potrebbero ridurre le bollette dell’industria”. Gli eventi in Ucraina hanno aggravato una crisi energetica che nella ripresa post-pandemia, a fine 2021, aveva già fatto registrate un aumento notevole dei prezzi dell’energia. In questo contesto, i paesi come il nostro, con limitata autonomia energetica, sono indubbiamente quelli più colpiti.

Gli sviluppi più recenti ci portano addirittura verso un pressoché completo stop delle esportazioni di gas dalla Russia verso l’Europa. Ricordiamo che la UE importava finora ben 155 bcm di gas all’anno dalla Russia, coprendo così il 40% dei suoi consumi. Bisogna quindi da subito attuare tutte le misure necessarie per garantirci un’adeguata capacità di soddisfare la domanda interna di energia. A questo proposito, vanno identificate differenti misure, a breve e medio-lungo termine, con l’obiettivo di arginare, nell’immediato, l’aumento vertiginoso dei prezzi dell’energia e, al tempo stesso, costruire una maggiore indipendenza energetica per il futuro.

Nel breve termine, è essenziale assicurare la massimizzazione degli stoccaggi. Su questo punto i paesi membri sono sicuramente in condizioni migliori rispetto all’anno scorso: l’Italia e la Germania hanno riempito i serbatoi per circa l’85% della loro capacità, l’obiettivo previsto dall’UE è di arrivare al 90%. Nell'insieme, gli stoccaggi possono coprire circa un quarto della domanda complessiva annuale di gas della Unione. Quindi, secondo quanto dichiarato al Forum Ambrosetti dall’AD di Enel Starace, gli stoccaggi pieni a inizio stagione termica, combinati con opportune azioni di risparmio energetico, potrebbero condurci senza problemi eccessivi fino alla primavera del 2023. Si tratta di uno scenario verosimile, a patto che l’inverno che ci aspetta non sia troppo rigido e che la Francia non sia costretta a importare quantità addizionali di energia termoelettrica, prodotta presumibilmente bruciando gas, dai Paesi confinanti per far fronte all’indisponibilità di una quota importante dei propri impianti nucleari.

Un’altra delle misure più urgenti è sicuramente il risparmio energetico. Il MITE ha recentemente pubblicato il Piano Nazionale di contenimento dei consumi di gas naturale, con l’obiettivo di ridurre i consumi di gas di 5,3 miliardi di metri cubi fino a fine marzo. Oltre ai 2,1 miliardi di metri cubi di gas risparmiati - grazie a un maggior utilizzo di energia elettrica prodotta da carbone, olio combustibile e bioliquidi - 3,2 miliardi di metri cubi si raggiungerebbero attraverso la riduzione dei consumi, con la diminuzione di 1°C del riscaldamento degli edifici. I 2 gradi di tolleranza previsti lascerebbero, comunque, ampio spazio alla discrezionalità dei singoli, con relativi interrogativi sull’effettiva realizzazione della misura. Inoltre, il periodo di attivazione degli impianti di riscaldamento sarà ridotto di 15 giorni. Gli stessi impianti resteranno accesi un’ora in meno, ogni giorno. È importante sottolineare che le misure di risparmio energetico, per essere efficaci, devono essere coordinate tra i paesi della UE. Proprio a inizio settembre, il Presidente francese Macron ha annunciato la “fine dell’abbondanza energetica” anche nel paese che negli ultimi decenni è stato esportatore netto di grandi quantità di elettricità, in particolare verso l’Italia. Tutto ciò nel contesto non solo di una ridotta disponibilità di gas, ma anche di lunghe manutenzioni non programmate di almeno la metà dei reattori nucleari.

Ovviamente, oltre ad assicurare un’adeguata capacità di fornitura di energia, occorre garantire prezzi ragionevoli. Basti pensare che, in agosto, il prezzo del gas alla borsa di Amsterdam (TTF) è rimasto quasi sempre sopra i 200 €/MWh, con picchi che hanno sfiorato i 350 €/MWh. All’inizio del 2021 il prezzo del gas si attestava tra 15 e 20 €/MWh. Se si pensa che il prezzo dell’elettricità nel mercato europeo è di norma fissato dalle unità a gas, si comprende bene l’effetto avverso, sull’economia europea e sui cittadini, che vedono schizzare alle stelle le bollette elettriche. In questo senso, sempre in agosto si sono superati i 700 €/MWh in Italia e ora a settembre siamo intorno a 500 €/MWh rispetto a prezzi di circa 60 €/MWh di inizio 2021.

A questo proposito bene ha fatto il nostro primo ministro Draghi a proporre già lo scorso marzo un cap al prezzo del gas. I mercati energetici europei sono ormai abbastanza integrati, seppure con qualche eccezione (es.: penisola iberica), per cui un cap al prezzo del gas va necessariamente applicato ai prezzi all’ingrosso a livello comunitario. Purtroppo, al momento in cui scriviamo vi sono ancora dubbi sul consenso di tutti i 27 paesi membri su questo prezzo limite, nonostante von der Leyen abbia già manifestato il suo appoggio.

Mettere dei limiti al libero funzionamento del mercato è sicuramente una misura complicata, come riconosciuto anche recente dal Ministro francese dell’Economia, Bruno Lemaire, nell’intervista rilasciata durante il Forum Ambrosetti. Temporaneamente potrebbe essere comunque una soluzione, così come pure l’applicazione di un dual price alla generazione elettrica, disaccoppiando i prezzi da applicare per la produzione da gas da quelli basati su altre fonti, tra cui anche le rinnovabili, che non sono soggette alla stessa crescita dei prezzi della materia prima.

Sull’introduzione di un price cap, la Commissione Europea ha pubblicato il “Non-paper on emergency wholesale price cap instruments for natural gas” studiando due possibili alternative: la limitazione del prezzo di importazione del gas russo e l’applicazione, insieme a un opportuno coordinamento, di prezzi specifici nelle regioni maggiormente colpite dalla fornitura di gas russo. Tali opzioni possono essere applicate separatamente o in maniera congiunta, valutandone opportunamente benefici e criticità.

Infine, un ulteriore aiuto può arrivare da misure fiscali a favore di cittadini e imprese mediante la tassazione degli extra-profitti delle società di trading dell’energia, misura comunque non facile perché andrebbero identificati in maniera oggettiva gli extra-profitti. Ricordiamo che la Germania ha recentemente varato un piano di stanziamenti a favore di imprese e cittadini per 65 b€, finanziato in gran parte dagli extraprofitti. Tutto ciò riguarda, tuttavia, l’immediatezza della crisi. Gli esperti energetici sottolineano però che la guerra ha indotto cambiamenti importanti nelle priorità delle politiche energetiche dei Paesi EU, cambiamenti che vanno affrontati subito e senza indugio per evitare che la crisi, da temporanea, divenga permanente. In questo senso diversi interlocutori hanno evidenziato l’opportunità di avviare rapidamente misure di medio-lungo termine. Una soluzione è rappresentata dalla ricerca di nuove vie di approvvigionamento di gas e dalla diversificazione dei fornitori, che può essere ottenuta utilizzando il GNL. A tale scopo, è necessario realizzare nuovi rigassificatori, per la conversione di gas dallo stato liquido a quello gassoso. “Investire in nuovi rigassificatori porterebbe a un’ulteriore riduzione significativa dell’import dalla Russia, pari a 10 bcm, ma richiederebbe sia tempo (più ridotto, nel caso di rigassificatori galleggianti) che sforzi economici non indifferenti (specie per quelli a terra), e soprattutto sarebbe esposta all’incertezza delle tempistiche per ottenere il consenso e le autorizzazioni locali” afferma Matteo Codazzi, Amministratore Delegato di CESI.

Un ruolo fondamentale tra le soluzioni di medio–lungo temine è occupato dalle rinnovabili. Nella recente Assemblea Pubblica di Elettricità Futura, la maggiore associazione italiana di imprese di produzione, commercializzazione e distribuzione di energia elettrica, è emerso come il raggiungimento degli obiettivi al 2030 del REPowerEU significherebbe, per l’Italia, aggiungere 85 GW di nuova potenza rinnovabile e 80 GWh di nuova capacità di accumulo di grande taglia. Se i target venissero conseguiti, il nostro Paese raggiungerebbe una quota dell’84% di rinnovabili nel mix elettrico nel 2030, rispetto al 41% dello scorso anno. “Più rinnovabili significherebbero una stabilizzazione verso il basso dei prezzi dell’energia, la possibilità per i clienti di approvvigionarsi di energia a prezzo fisso su più anni, oltre ad una maggiore sicurezza di approvvigionamento non dovendo dipendere da paesi fornitori talvolta inaffidabili od ostili, come nel caso delle fonti fossili. Inoltre, grazie alle maggiori rinnovabili, aumenterebbero i margini di sicurezza per affrontare eventi imprevisti, ma non improbabili, come la ridotta produzione idrica a seguito di siccità prolungata, che abbiamo già vissuto quest’estate, o la minor produzione nucleare francese per prolungata manutenzione degli impianti o, infine, eventuali ritardi nell’autorizzazione o realizzazione di nuovi gassificatori, compresi quelli galleggianti”, afferma Codazzi.

“Vanno però create le condizioni per una maggiore accettabilità degli impianti verdi, coinvolgendo dall’inizio del processo i principali stakeholder, anche a livello di comunità locali, per condividere i benefici che ne derivano per l’ambiente e per il Paese, in questo senso anche l’accelerazione dell’ulteriore impulso normativo atteso a favore delle CER (le c.d. Comunità Energetiche) potrebbe giocare un ruolo importante” aggiunge l’AD di CESI.

“Sul lungo periodo, infine, può giocare un ruolo significativo anche il nucleare di IV generazione.

Infatti, uno degli insegnamenti che possiamo ricavare da questa crisi energetica è la necessità di un’opportuna e intelligente diversificazione delle fonti per far fronte a tutti i rischi correlati sulla loro disponibilità”, conclude Codazzi.

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