Auto, il diktat europeo sul "tutto elettrico" divide il sistema-Paese

Filiera italiana per la "svolta" green. Costruttori esteri pronti a reagire alla sfida

Auto, il diktat europeo sul "tutto elettrico" divide il sistema-Paese

Solo auto elettriche dal 2035: il recente via libera del Parlamento Ue è stato accolto differentemente dalle tre principali associazioni automotive italiane. C'è chi, come Unrae (importatori), parla di importanti opportunità, ma occorre un'efficace agenda di governo; chi, come Anfia (filiera nazionale), chiede altrettanta attenzione verso le altre tecnologie utili per la decarbonizzazione; e poi Federauto (concessionari), che considera a forte rischio non solo la competitività delle imprese italiane ed europee in un settore così strategico, ma soprattutto il lavoro, a vantaggio dei cinesi. E Stellantis? Il gruppo guidato da Carlos Tavares, fuori dalle associazioni italiane e da quella europea, che a fine marzo presenterà il suo «Freedom of Mobility Forum», vede nei prezzi delle elettriche, ancora alti per la classe media, la sfida vera: «Bisogna arrivare a venderle anche senza ecobonus», la carta vincente per il top manager.

Più ottimista è Michele Crisci, presidente di Unrae: «È necessario tranquillizzare i consumatori - afferma - perché le auto elettriche non saranno solo per i ricchi; l'aumento graduale delle produzioni contribuirà, infatti, ad abbattere costi e prezzi; gli incentivi, soprattutto per le aziende, servono ad abbreviare i tempi». Per Crisci, «non sono pochi i 12 anni da qui al 2035, visto che da decenni si è al lavoro per abbattere i sempre più rigorosi limiti alle emissioni. Il 2035 non deve far paura. Si metta a terra un piano serio e le autostrade siano dotate di stazioni di servizio per auto le elettriche, sul modello di quelle per i carburanti. Le ricariche veloci, comunque, richiederanno sempre il doppio o il triplo di tempo rispetto a un pieno di carburante». Crisci, che pure si dice favorevole alla neutralità tecnologica (tutte le soluzioni di alimentazioni green sul mercato), non vede però nella «Cina-dipendenza» un pericolo, «visto che il settore già anni fa ha cominciato a investire in quel Paese, e l'Europa continua a essere dipendente dal mondo arabo per il petrolio e, dopo la Russia, dall'Algeria per il gas».

Una posizione sulla Cina, quella di Crisci, al vertice di Volvo Auto Italia, in contrasto con la visione generale.

Il presidente di Anfia, Paolo Scudieri, ha presentato una serie di proposte all'Ue, sottolineando subito che i target di riduzione di CO2 «stanno già rivoluzionando la filiera produttiva europea, storicamente leader nelle tecnologie legate all'endotermico». «Un settore - leggiamo nel position paper di Anfia - che si trova a rincorrere Paesi (Cina in primis, ndr) che dominano l'elettrificazione per non perdere del tutto la competitività a livello globale».

A unire le associazioni - e la stessa Stellantis - è il giudizio negativo sul tema Euro 7: «Appaiono inverosimili - stigmatizza Anfia - le tempistiche attuative proposte, ovvero il 2025 per gli automezzi leggeri e il 2027 per quelli pesanti. Si richiedono alle imprese investimenti fortissimi in tempi molto ristretti, prevedendo per i veicoli leggeri l'addio ai motori endotermici dall'anno 2035». Adolfo De Stefani Cosentino, presidente di Federauto, auspica che il punto programmato da Bruxelles nel 2026, «possa aprire gli occhi sull'assurdità del tutto elettrico dal 2035, lasciando la porta aperta anche all'ibrido e ai biocarburanti». Federauto paventa un'Europa a due velocità: «Non si può applicare tutto per tutti allo stesso momento, servono aiuti specifici globali dall'Ue». E aggiunge: «L'Italia utilizzi i 220 milioni di fondi avanzati nel 2022 e quelli inutilizzati per l'elettrico quest'anno.

Due le proposte (condivise con Unrae) per le partite Iva: si detragga tutta l'Iva sull'acquisto di un'auto elettrica, con il conseguente azzeramento del fringe benefit e la riduzione del cuneo fiscale. Ma si detragga anche l'80% sulle ibride plug-in per chi deve percorrere distanze lunghe. Se non si rivede la scadenza del 2035, con un parco auto molto anziano come quello italiano, l'effetto Cuba sarà inevitabile».

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