Bpm: "Avanti con gli esuberi anche senza l'ok sindacale"

Linea dura di Piazza Meda sulle 800 uscite. "Non useremo il fondo di solidarietà, così salteranno le nuove assunzioni"

Bpm: "Avanti con gli esuberi anche senza l'ok sindacale"
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Clamorosa rottura nel mondo bancario. All'interno di quello che è il terzo gruppo creditizio commerciale italiano, il Banco Bpm, è saltato per aria il tavolo della trattativa tra l'azienda e i sindacati sugli esuberi previsti dal piano industriale e, nello stesso tempo, si sono spaccate anche le sigle sindacali: da una parte i confederali (Fisac-Cgil, First Cisl, Uilca-Uil), dall'altra la Fabi (che nelle banche è il sindacato individuale più rappresentativo) con Unisin. Mentre la banca guidata da Giuseppe Castagna ha emesso un durissimo comunicato di accusa. Ma andiamo per ordine.

La rottura è avvenuta dopo l'incontro del 27 giugno scorso, quando i confederali hanno lasciato il tavolo dove si discuteva dei 1.600 esuberi previsti, a fronte dei quali la banca si impegna per 800 assunzioni. Un rapporto 2 a 1 ormai considerato «normale» in questo tipo di situazioni, ma che è stato contestato da Fisac-First-Uilca. Non da Fabi e Unisin, che sono invece rimaste al tavolo. Ma la cifra di tale rottura è emersa in tutta la sua gravità con la comunicazione che la banca ha poi inviato ai suoi dipendenti.

«Banco Bpm andrà avanti con quanto dichiarato nel piano industriale, con o senza accordi sindacali. Ciò garantirà comunque l'obiettivo dichiarato dall'azienda di 800 uscite nette. Si segnala peraltro che, per la prima volta nella storia di questo tipo di trattative, non verrebbe utilizzato il fondo di solidarietà di settore e ciò non consentirebbe di raggiungere un'ulteriore tranche di assunzioni». Traduzione: senza un accordo azienda-sindacati la banca non potrà accedere agli ammortizzatori di sistema, né al fondo esuberi per le 1.600 uscite previste, né al fondo per l'occupazione per le 800 assunzioni. Con il risultato che, per raggiungere l'obiettivo del piano di 800 uscite nette, procederà solo attraverso altrettanti esuberi, finanziandoli con risorse proprie, senza effettuare nessuna assunzione. Dal punto di vista sindacale sarebbe dunque una debacle: zero assunzioni e molti dipendenti interessati alle uscite incentivate che sarebbero costretti a restare in banca.

«Sul tema oggetto di trattativa - si legge infatti nella nota del Banco - il nosro approccio è propositivo e finalizzato a far fronte alle numerose richieste volontarie di colleghi (oltre 500) che hanno richiesto l'accesso al piano di pensionamento incentivato. E ci consente di poter assecondare le eventuali richieste di oltre 2mila persone, a quanto ci risulta già per la maggior parte interessate, che potrebbero aver accesso a un fondo di solidarietà».

E non è tutto: rischiano di saltare anche le trattative già fissate in luglio «tra cui il premio aziendale e gli inquadramenti per le nuove figure professionali».

Per quanto riguarda i sindacati, non è chiaro se a questo punto ci saranno, come auspicano i confederali, due tavoli: quello originale (con Fabi e Unisin) e quello dei tre confederati. Questi ultimi accusano l'azienda di avere mescolato gli esuberi agli altri temi di discussione: un ricatto che non intendono accettare. Mentre per la Fabi non c'era alcun motivo di abbandonare il tavolo di giovedì 27 senza ascoltare le comunicazioni dell'azienda, peraltro programmate da tempo.

La rottura è importante. E di sicuro la dura nota emessa dalla banca, che ha espresso la volontà di andare avanti comunque, non sembra precludere a una ripresa della trattativa su due tavoli, come se nulla fosse successo.

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