Ogni giorno che passa s'infoltisce la fila dei tifosi delle nozze tra Commerzbank e Unicredit. E se il placet della Banca centrale europea è noto (ieri il vice presidente Luis de Guindos ha ribadito sulla questione che «l'approccio europeo dovrebbe prevalere su quelli nazionali»), la novità è che spunti un endorsement dalla Commissione europea e quindi dal vertice politico dell'Ue.
«Decidere se autorizzare o meno una fusione transfrontaliera tra banche spetta alle autorità competenti», ha detto ieri un portavoce della Commissione Europea, a proposito della possibilità che il governo tedesco possa mettersi di traverso in un'operazione come la possibile acquisizione di Commerzbank da parte di Unicredit. L'approccio è il solito della Commissione, che «non commenta», ma in realtà lo fa: nell'Ue «disponiamo di un settore bancario forte». Anche se «le fusioni potrebbero rendere le banche più resilienti agli choc, grazie ad una maggiore diversificazione delle attività. E permetterebbero alle banche europee di avere modelli di business più efficienti». Insomma, il messaggio a Christian Lindner, il ministro delle Finanze tedesco, e al governo di Olaf Scholz è chiaro: niente catenaccio.
Da Berlino intanto si cerca una strategia alternativa e più diplomatica, anche attraverso la ritirata strategica sulla norma anti-scalate. Se le nozze non si possono fermare, infatti, l'idea è quella di ottenere qualcosa sul piatto di un affare che dovrà essere reso digeribile all'opinione pubblica (in primis sul piano occupazionale, sul mantenimento del logo e sulla governance). Il tempo per trattare c'è, dal momento che l'ok della Bce a Unicredit per arrivare fino al 30% difficilmente arriverà prima dell'inizio del 2025.
Dal canto suo, il ceo di Unicredit, Andrea Orcel (in foto), non sembra al momento disposto a tirare dritto se ci fosse una netta contrarietà del governo. Mosse e contromosse, in attesa di vedere i conti di Unicredit e Commerz che divulgheranno entrambe il prossimo 5 novembre.
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