La Bundesbank frena le buone intenzioni Bce

Si riducono gli spazi di manovra di Draghi

La Bundesbank frena le buone intenzioni Bce

«Non abbiamo detto sì a nulla, abbiamo affermato che siamo aperti a discutere di misure che rientrino nel mandato della Bce». Eccolo, il Jens Weidmann autentico. Altro che il falco addolcito nella versione fatta circolare nei giorni scorsi dal Wall Street Journal. Quello pronto ad assecondare ogni misura di stimolo pur di riscaldare un po' l'inflazione e raffreddare i bollenti spiriti dell'euro, quello finalmente dalla parte di Mario Draghi dopo un lungo braccio di ferro.
Il capo della Bundesbank riposiziona le lancette là dove vogliono tradizione e consuetudine, in una prova di forza che sembra recepire le istanze di molti tedeschi secondo cui, all'interno dell'Eurotower, il voto della Buba dovrebbe pesare più di quello di altri.

Del resto, il riferimento ad agire nell'ambito del mandato della Banca centrale non è certo da considerarsi casuale. Suona, semmai, come un richiamo a non avventurarsi in terreni proibiti. Se l'acquisto di bond sia lecito è, per esempio, aperto da tempo il dibattito tra i governatori. La Buba sembra insomma chiudere la porta al lancio di un quantitative easing in salsa europea. Convinta, peraltro, che non tutte le misure in discussione sul tavolo della Bce siano adatte a combattere l'apprezzamento della moneta unica e la tendenza al ribasso dell'inflazione. In particolare, dice Weidmann, l'arma spuntata è proprio il QE. Verso cui la Banca centrale tedesca ha sempre manifestato un'aperta ostilità per il potenziale impatto inflazionistico. Un rischio che, almeno finora, gli Stati Uniti sono riusciti a evitare nonostante l'enorme liquidità iniettata nel tessuto economico dalla Fed. «Se necessario - ha aggiunto Weidmann - la Bundesbank è pronta ad agire», anche se «occorre prima valutare i dati». Una specie di zuccherino per indorare la pillola, visto che per la Buba l'Eurozona corre un pericolo «relativamente piccolo» di deflazione. Porsi, inoltre, un obiettivo relativo al tasso di cambio, «non è coerente con una politica monetaria indipendente». Insomma, tutta una serie di paletti piantati nel terreno che, riducendo i margini di manovra di Draghi, limitano lo spettro di interventi possibili. In assenza di una forte coesione nel board attorno all'uso di armi non convenzionali (dall'acquisto di bond sul mercato secondario a quello di titoli cartolarizzati), è verosimile che in giugno la scelta finisca per ricadere su un taglio dei tassi di riferimento e nell'azione che abbasserà sotto lo zero quello sui depositi. Una mossa, quest'ultima, senza precedenti, che nelle intenzioni dovrebbe convogliare verso famiglie e imprese la liquidità finora tenuta parcheggiata nei caveau della Bce. Evitando, così, di dover studiare una modalità di finanziamento alle banche destinata all'economia reale.

Solo

alla fine Weidmann ricosce ciò che molti vanno dicendo da tempo: «Si punta il dito contro l'Italia, la Spagna, la Grecia, ma la Germania ha molto da fare. Un tempo era la Germania la malata d'Europa». Meglio tardi che mai.

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