Pensioni, che cosa ci aspetta: così cambieranno gli assegni

Le pensioni potrebbero crescere nel 2021. Chi ha un assegno lordo di 15mila euro annui, lo vedrà aumentare di 5 euro al mese. Ma non è del tutto scontato...

Pensioni, che cosa ci aspetta: così cambieranno gli assegni

Nel 2021 le pensioni degli italiani potrebbero cambiare. Ma esistono almeno due teorie su questo punto. Una positiva, che disegna un "ricco" 2021 per chi è in pensione. E una negativa che, in soldoni, vuol dire assegni più bassi. Mettiamole a confronto.

Assegni più alti?

Da gennaio prossimo le cose potrebbero migliorare. Si prevedono aumenti proporzionali all’inflazione rilevata dall’Istat. Il governo determinerà a dicembre 2020, come ogni anno, questo valore che sarà contenuto nella legge di Bilancio. E l’aumento previsto per il 2021 sarebbe in linea con quello di quest’anno.

L’aumento in arrivo dal gennaio 2021 per i pensionati italiani dovrebbe essere dello 0,40%. Per arrivare allo 0,16% per le pensioni superiori a 4 volte il trattamento minimo. Ecco come dovrebbe funzionare il meccanismo: chi ha una pensione lorda di 15mila euro annui, la vedrà crescere di circa 5 euro al mese. In sostanza, gli aumenti non supereranno la soglia di pochi euro su base mensiole anche per le pensioni più ricche. Se il 2021 sarà in linea con il 2020, il 2022 dovrebbe portare buone nuove, soprattutto per chi ha una rendita cospicua. La rivalutazione minima, infatti, salirà dal 40% dell’inflazione di quest’anno al 75%.

Alla base di questa buona notizia c’è un rapido calcolo. O, meglio, una costatazione. I pensionati italiani vivono male. Costretti a rinunciare all’irrinunciabile per una manciata di euro ogni mese. Il contributivo crea sempre più problemi ai nuovi pensionati. Gli assegni hanno, infatti, un valore economico sempre più basso e, peraltro, sta aumentando la forbice tra l’ultima retribuzione e l’assegno pensionistico (che non è proprio un buon affare). Il passaggio dal reddito da lavoro alla pensione è traumatico. Certo, l’aumento del costo della vita non aiuta. Così chi si è ritirato dalla vita lavorativa riesce a malapena ad arrivare a fine mese, anche perché l’adeguamento annuale è di frequente molto modesto.

Si stabilisce che la perequazione delle pensioni è uno strumento necessario per mantenere invariato il potere d’acquisto. Gli aumenti non vanno intesi come un incremento della retribuzione, bensì come una tutela dal rischio inflazione. Se l’Inps non procedesse alla perequazione, infatti, le pensioni perderebbero valore anno dopo anno. Il sistema di calcolo prevede, infatti, per legge una rivalutazione del 100% dell’inflazione per le pensioni fino al quadruplo del trattamento minimo. Con l’aumentare dell’assegno scenderà la sua rivalutazione.

Assegni più bassi?

C’è però una teoria totalmente contraria a quella di cui abbiamo appena parlato. "Più passa il tempo e meno pesanti saranno le pensioni degli italiani", scrive Investire Oggi. Vediamo perché. Innanzitutto, il calcolo misto. In parte retributivo e in parte contributivo. La parte retributiva si riferisce all’anzianità maturata prima del 1996 (Riforma Dini), quella contributiva (più penalizzante) a dopo tale data. Più passa il tempo, sempre meno saranno i lavoratori che potranno vantare un peso contributivo. Il sistema misto sarà quindi sempre più preponderante verso il calcolo della pensione contributiva (che sarà più bassa).

Anche la rivalutazione del montante contributivo o tasso di capitalizzazione può incidere sulla pensione. La rivalutazione di tutti i versamenti effettuati da un lavoratore durante la carriera lavorativa, come noto, è legata all’andamento del Pil (più questo sale, maggiore sarà l’assegno). Ma se l’economia va male anche il valore della pensione si adeguerà. Come nel nostro caso. Dannato 2020!

Negativo anche il coefficiente di trasformazione. Cioè un valore che si applica al montante contributivo rivalutato nel tempo in base agli aggiornamenti Istat. È quel numero magico che trasforma i contributi in pensione. Il coefficiente di trasformazione è direttamente proporzionale all’età, cioè più il lavoratore è anziano, maggiore sarà il coefficiente di trasformazione e quindi anche la pensione. Tali coefficienti vengono periodicamente aggiornati dall’Istat in base all’andamento dell’inflazione e alle aspettative di vita. Ultimamente si è visto un peggioramento.

Ecco le due facce della medaglia.

Due proiezioni completamente opposte che lasciano intendere bene quante variabili intervengano nel calcolo delle pensioni. Non ci resta che attendere il corso del tempo. Nel 2021 torneremo a fare i conti. E potremo osservare quale delle due teorie era quella corretta.

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