La crisi bancaria statunitense è vicina a inanellare la terza vittima nel giro di un mese e mezzo. Le autorità americane, infatti, si sono ormai decise a mettere First Republic Bank in amministrazione controllata e magari liquidare la pratica entro la giornata di oggi. Secondo il Wall Street Journal la Fdic, l'agenzia americana incaricata di garantire i depositi bancari, potrebbe intervenire entro questo weekend per poi vendere gli asset dell'istituto ai soggetti interessati. L'idea iniziale del governo Usa era di orchestrare un salvataggio da parte di privati per First Republic, finita di nuovo nel ciclone dopo che nei giorni scorsi aveva annunciato di aver perso 100 miliardi di depositi nel primo trimestre. Ma a venerdì non si era ancora riusciti ad arrivare a un accordo e visti i ripetuti collassi a Wall Street, da ultimo quello dell'ultima seduta che ha polverizzato il 43% della capitalizzazione, la Fdic avrebbe deciso di muoversi per agevolare le cose. Per dare la dimensione del disastro, basti pensare che, nel corso dell'anno, le azioni di First Republic sono scese di circa il 97% e la sua capitalizzazione di mercato si è ridotta a 642,33 milioni di dollari. Tradotto: la situazione è agli sgoccioli.
Per la banca californiana, che a fine 2022 contava 213 miliardi di attivi ed era la quattordicesima degli Stati Uniti, ci sarebbero in lizza JPMorgan Chase e Pnc Financial Services, ma anche US Bancorp e Bank of America Corp alle quali il regolatore avrebbe chiesto di presentare le loro offerte per First Republic entro oggi. Gli interessati preferiscono intervenire con l'istituto già in amministrazione controllata, anche per spuntare prezzi più interessanti. Ma il regolatore, che aveva spinto per una soluzione tra privati, ha fretta di chiudere tutto entro oggi per evitare che la situazione si aggravi ulteriormente. L'intervento governativo assume connotati straordinari, con riflessi tutti da misurare sui mercati e il rischio di una crisi di fiducia che potrebbe fomentare altre fughe dagli sportelli. Ma non fare niente potrebbe essere peggio.
Nel caso di First Republic, il salvataggio di un'altra banca era una via difficile perché l'istituto ha un portafoglio composto da mutui prevalentemente a tasso fisso e da titoli di Stato, che quindi hanno perso di valore con il recente aumento dei tassi di interesse. Chiunque la prendesse, pertanto, dovrebbe integrare immediatamente nei suoi conti asset già svalutati. Un altro fattore che ha favorito la crisi dell'istituto, che ha sede a San Francisco, è che si rivolge a clientela facoltosa, quindi con un numero non sterminato di correntisti: la fuga anche di una parte di questi, quindi, provoca deflussi notevoli.
Bisogna quindi preoccuparsi per le banche italiane ed europee? Analisti e istituti internazionali dicono di no, perché le banche dell'Eurozona sono meglio capitalizzate e vigilate. Jerome Powell, alla guida della Federal Reserve, su questo punto ha fatto vergare un «mea culpa» dal suo vicepresidente, Michael S. Barr, che ha ammesso errori nella supervisione e una regolamentazione inadeguata nel crack finanziario della Silicon Valley Bank, la miccia dell'attuale crisi, impegnando l'istituto a rafforzare i controlli, soprattutto per le banche di medie dimensioni.
In tutto questo, le banche italiane questa settimana hanno sofferto in Borsa.
Bankitalia però ha lanciato un messaggio rassicurante affermando che gli istituti si trovano «in condizioni complessivamente buone» e saranno in grado di generare nel 2023 una redditività simile a quella del 2022. Nel frattempo, il mercato cercherà conferme con i conti trimestrali di Intesa Sanpaolo (5 maggio) e di Unicredit (3 maggio).
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