Roberto Tomasi, amministratore delegato di Autostrade per l'Italia, oggi si festeggia il centenario dell'A8 Milano-Varese, la prima pietra delle nostre infrastrutture viarie. Che cosa rappresenta quell'opera per l'Italia?
«L'ingegner Piero Puricelli, che progettò anche l'autodromo di Monza, realizzò un'opera che permise di immaginare la crescita di un Paese e di un territorio. E che ci suggerisce alcune considerazioni: la prima è che queste opere bisogna pensarle non in base alle sole esigenze di oggi, ma con una visione del domani; la seconda è che, nonostante siano passati cento anni, dobbiamo preservare questo patrimonio per le generazioni future; la terza è che tutto ciò ci ricorda quanto questi progetti siano fondamentali per l'economia della nazioni industrializzate».
Tra l'altro, quella fu la prima autostrada a pedaggio del mondo.
«Fu una rivoluzione. L'autostrada dei laghi, che agli albori era aperta dalle sei di mattina alle 22 di sera, fu la prima opera concepita immaginando una nuova mobilità con un sistema di finanziamento autosufficiente, capace di uscire dagli schemi del solo sostegno pubblico».
Spesso ci sono contrasti per realizzarle, però si dimentica che le grandi infrastrutture portano sviluppo. Politica poco lungimirante?
«L'autostrada è stata fondamentale per la crescita di questo territorio, che è oggi uno dei principali motori del Paese. Intorno a questa infrastruttura, 40 chilometri realizzati in soli 15 mesi, sono nate le grandi industrie del Nord. Nel 2024 cade anche il 60esimo anniversario dell'Autostrada del Sole: anche allora c'erano voci contrarie a quest'opera, che alla fine però si rivelò la più grande manovra di politica economica e sociale nel Paese perché unì il Nord al Sud».
Il crollo del Ponte Morandi per voi rappresenta uno spartiacque, che cosa è cambiato in questi anni?
«Il crollo del Ponte è stato uno choc senza precedenti. Da allora per l'intero settore tutto è cambiato, non solo sulla conoscenza dell'infrastruttura, ma anche sulla pianificazione strategica degli interventi necessari. Ora per supportare tutto questo dobbiamo individuare strumenti e regole sostenibili per l'utenza, ripartendo l'impegno nell'arco di tempo della loro vita utile».
Programma particolarmente impegnativo. In che modo si può realizzare?
«Già nel 2017 era stato affrontato il problema, sia in Italia che in Europa, e su quella impostazione di flessibilità può essere risolto. Il positivo e costante confronto con il ministero è volto all'attuazione piena degli investimenti».
In che cosa potrebbe aiutare Bruxelles?
«Abbiamo bisogno di celerità e di strumenti flessibili per mettere a terra gli investimenti. Il confronto con l'Ue è centrale, supporteremo il ministero e il governo perché questo sia il più proficuo possibile. Dobbiamo cambiare il paradigma, ovvero, le regole devono essere funzionali a sostenere le esigenze dei territori».
Che cosa chiedete riguardo alla riforma delle concessioni pubbliche?
«L'attuale disegno di legge parte da una base che riteniamo molto positiva. Il confronto parlamentare credo possa consentire di migliorare alcuni aspetti».
Non sarebbe meglio verificare quali lavori occorre fare e poi tararsi di conseguenza?
«Così stiamo facendo, in piena sintonia con il ministero. Il confronto con tutte le istituzioni coinvolte, come l'Art, è funzionale ad una piena convergenza e celerità della definizione degli obblighi e degli impegni delle concessionarie. E poi mi lasci dire una cosa».
Prego.
«Dobbiamo ricreare un'industria che sia in grado di fare queste grandi opere. In Europa si è giustamente attenti alla competizione, ma quando queste infrastrutture tardano di anni il problema è quasi sempre legato alle competenze. Ci vogliono quindi aziende leader, che possano costruire competenze industriali importanti, con una visione di lunghissimo periodo».
È questa la ragione che vi spinge a puntare molto sui giovani?
«Negli ultimi anni, su una popolazione aziendale di 10mila persone, ne abbiamo assunte 3mila, di cui mille sotto 30 anni. Collaboriamo molto con le università e ad esempio abbiamo accordi con i Politecnici e la Federico II di Napoli, con i quali abbiamo sviluppato negli ultimi anni importanti master per formare i tecnici e gli ingegneri del futuro».
Avete introdotto i droni per controllare il traffico. Sono davvero così efficaci?
«Sì, ma i droni sono solo un esempio delle tecnologie che usiamo. C'è tanto altro: abbiamo per esempio messo in piedi un'infrastruttura di monitoraggio e di gestione dello stato delle infrastrutture che si chiama Argo, una delle più complesse al mondo. Con il Politecnico di Milano e la controllata Movyon, stiamo facendo i test per la guida autonoma sulla A26, che è uno dei tratti più complessi per numero di gallerie. L'auto a guida autonoma sarà il futuro e testare queste tecnologie dà la misura della visione che abbiamo in termini di innovazione».
Quali investimenti state portando avanti attualmente?
«Il nostro piano prevede 36 miliardi di investimenti nei prossimi 15 anni. Metà sono sulla rigenerazione della rete, l'altra metà potenziamenti degli assi penetrazione alle grandi città: Milano, Genova, Bologna, Firenze».
A proposito, com'è stato quest'anno il traffico sulla rete?
«Il 2024 ha segnato il record di traffico mai registrato nella storia del Paese. In base ai dati consolidati gennaio-luglio, abbiamo superato, con quasi 29 miliardi di chilometri percorsi, il record del 2007, soprattutto grazie al contributo del traffico pesante».
Un'opera che anima da anni il dibattito è quella del Ponte sullo Stretto. Qual è il suo pensiero in proposito?
«Il ponte si colloca all'interno di un sistema infrastrutturale europeo e nazionale molto complesso, strategico per l'Europa e per l'Italia.
Se tutti gli assi di interesse verranno completati, il ponte sarà un'opera fondamentale. È chiaro che si tratta di un progetto di alto valore inserito in una visione di sistema che avanza di pari passo con le altre opere. E credo che sia proprio questa la visione del ministro».
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