Al Monte inizia l’era Profumo Mussari: "Addio con rimpianto"

Dal successo in Unicredit alle dimissioni del 2010: torna in pista un banchiere che ha concluso grandi operazioni, ma ha fatto troppa vita di partito a sinistra

Al Monte inizia l’era Profumo Mussari: "Addio con rimpianto"

Alessandro Profumo che diventa presidente di Monte dei Paschi non è una personalità di poco rilievo nella finanza italiana. Entrato nel ’94 nel vertice del Credito Italiano, ne diventa ad nel ’97 a soli quaranta anni. Qui mette in campo le sue vere competenze manageriali, acquisite alla dura scuola della McKinsey, innanzi tutto la capacità di razionalizzare i costi riducendo il personale e aumentando la produttività. Negli anni seguenti sarà protagonista di due grandi imprese particolarmente coraggiose: l’acquisizione nel 2005 della banca bavarese Hvb, di fatto la più grande iniziativa di internazionalizzazione dell’economia italiana e nel 2007 la fusione con Capitalia che aiuterà a consolidare dalle fondamenta il sistema del credito nazionale. Delle due, al contrario di quanto hanno sostenuto a lungo i nemici di Cesare Geronzi, è la prima operazione quella veramente a rischio e con costi al limite dell’accettabilità. Però dal punto di vista strategico entrambe non mancano di grande prospettiva.
Perché un condottiero con così importanti conquiste dietro alle spalle è stato costretto a dimettersi nell’autunno del 2010? La questione immediata su cui è cascato è stata sostanzialmente quella del rifiuto (meritorio) della distribuzione dei dividendi alle fondazioni socie della sua impresa (Crt e Cariverona): queste ultime si sono alleate ai tedeschi ben insediati in piazza Cordusio e con l’amorevole accordo dell’allora governatore Mario Draghi hanno sbaragliato i profumisti, che contavano su un alleato come Giulio Tremonti e su truppe libiche. Naturalmente si tratta dell’«ultima goccia»: basta ricordare l’andamento del titolo che, a fine 2010, era tornato agli stessi valori (rettificati) del Credito italiano del ’97, nonostante gli oltre 6 miliardi di nuove risorse chieste ai soci nel 2009-10. Certo, la crisi del 2008 non può essere imputata ad alcun singolo banchiere. Però c’è modo e modo di arrivare a un redde rationem dei mercati del tipo di quello post crac Lehman Brothers, e quello di Unicredit è particolarmente segnato prima da una serie di errori specificamente da banchiere, poi da quelli altrettanto gravi di uomo di sistema. Non si può costruire un impero bancario in Baviera, nell’Est europeo e verso l’Asia centrale senza avere un’idea di relazioni industriali, politiche e finanziarie. E senza dotarsi di un’alleanza almeno con entità affini quali sono Mediobanca e Generali. Né, d’altra parte, si può inglobare la più politica della banche italiane senza avere un analogo disegno italiano.
Invece Profumo si è disegnato uno stravagante profilo pubblico che è la causa principale della sua discesa: da una parte ha ribadito di essere privatamente impegnato a sinistra, andando ripetutamente a votare per le primarie ora per Prodi ora per Veltroni. Il che è un errore: i banchieri, come i preti e i magistrati, naturalmente fanno politica, ma dovrebbero evitare di far «vita di partito» (comizi, congressi e primarie). Naturalmente ha sempre fatto politica, in prima battuta con Romano Prodi; poi - con tutte le contraddizioni - con Massimo D’Alema; alla fine anche con Tremonti. I grandi banchieri non possono fare le cose neghittosamente, così è la loro figura che si diminuisce. Dovrebbero avere un rapporto con il potere un po’ più distante di quello di altri. Ma quando si impegnano è meglio troppa presenza che una falsa assenza. Sono meglio i Bazoli e i Passera che i Profumo. Anche perché gli spazi non restano vuoti, specie se c’è in casa una personalità come Fabrizio Palenzona.
Alla fine il bilancio profumiano ci pare negativo ed è difficile pensare che possa recuperare un ruolo presiedendo il Monte. Si capiscono le ragioni dei senesi: serve un uomo per tagliare il personale e su questo l’ex ad di Unicredit può dare garanzie; serve un uomo per parlare ad ambienti internazionali e il nostro anche se ben bene ridimensionato ha i suoi legami; infine serve una personalità capace di legare gli ex comunisti schierati intorno al governatore toscano Ernesto Rossi ai prodian-debenedettiani oggi all’offensiva (con cruccio sia dei popolari all’Enrico Letta, sia dei dalemiani), e il nostro può funzionare.

Anche se ciò gli costerà il residuo atteggiamento «io sono distante dalla politica-politicante» che voleva mantenere. In questo senso al di là di una psicologicamente comprensibile voglia di risarcimento, ci si chiede: chi glielo fa fare?

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