Parità euro e dollaro, cosa cambia per le nostre tasche

Per trovare uno scambio in parità tra euro e dollaro occorre andare indietro di 20 anni. Quella che, in principio, può essere una buona notizia per l’export europeo non è altrettanto buona per le importazioni

Parità euro e dollaro, cosa cambia per le nostre tasche

Euro e dollaro hanno raggiunto la parità come avevamo anticipato, questo vuole dire che per acquistare un dollaro ci vuole un euro e viceversa. Non accadeva dal mese di dicembre del 2002, venti anni fa, quando l’euro non aveva ancora compiuto un anno di vita. Una parità dovuta alla delicata congiuntura europea, alle prese con il caro-energia e l’inflazione. Il fatto che l’euro sia debole dovrebbe essere una buona notizia per l’export nelle zone in cui il dollaro è usato per gli scambi commerciali ma, proprio in virtù dell’inflazione questo vantaggio rischia di essere azzerato.

Cosa cambia per le nostre tasche

La situazione, se declinata al momento contingente europeo, si traduce in uno svantaggio per le importazioni di energia e delle materie prime che paghiamo in dollari.

Supponiamo, per comodità (e i dati reali non sono distanti) che il barile di petrolio costi 100 dollari. Se, fino a due settimane fa erano necessari 95,15 euro per acquistarlo, oggi il prezzo è di 100 euro.

L’Italia importa dagli USA una gran quantità di merci, le cui voci più importanti riguardano le materie prime, i prodotti legati all’agricoltura, a quelli chimici e ai macchinari e alle apparecchiature per la produzione. Non da ultimo, prodotti di elettronica tra i quali i computer. Tutti acquisti per i quali sarà necessario sborsare una maggiore quantità di euro con ricadute negative sui prezzi per il consumatore.

C’è comunque spazio per l’export italiano che risulta conveniente per il mercato americano e per quello dei paesi che dipendono dal dollaro. L’inflazione però fa il proprio gioco e il vantaggio rischia di essere limato: produrre costa sempre di più con conseguente rialzo dei prezzi di vendita.

Il settore turistico invece può contare, e prevediamo che sarà così, su un forte afflusso di cittadini americani diretti in Europa e, di conseguenza, anche in Italia.

I timori che ricadono sull’Europa

La parola recessione è uno dei mantra degli ultimi due mesi e, dal momento che la parità euro dollaro si è cristallizzata, gli investitori cercano di liberarsi degli investimenti nell’Eurozona anche perché la Federal Reserve, la banca centrale USA, ha già alzato i tassi direttori dell’1,75% che fanno salire anche il rendimento del dollaro. Questo induce gli investitori a preferire il dollaro all’euro, accelerando ancora di più il deprezzamento della valuta comunitaria, sul quale incide anche l’indipendenza energetica degli Stati Uniti che tiene più lontano lo spettro della crisi.

Inoltre, la Fed ha già palesato la volontà di alzare i tassi entro la fine di luglio e, sul versante europeo, vige ancora un alone di incertezza che deve essere risolto.

La Banca centrale europea (Bce) deve essere più chiara rispetto alle politiche monetarie che intende attuare perché l’incertezza fa male ai mercati e all’economia. Ciò che sappiamo con certezza è che, la condizione di parità e l’inflazione, rendono più costosi i prodotti importati da Oltreoceano.

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