Pil rivisto al rialzo, ma Giorgetti è cauto

L'Istat migliora deficit e debito. Il ministro: "Il quadro macroeconomico non cambia"

Pil rivisto al rialzo, ma Giorgetti è cauto
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La revisione Istat dei conti nazionali 2021-2023 ha portato notizie positive per l'economia italiana, ma non tali da indurre il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, a metter da parte la sua proverbiale prudenza. In particolare, l'istituto di statistica ha reso noto che, rispetto alle comunicazioni precedenti, il Pil 2021 in termini nominali (ossia al lordo dell'inflazione) è risultato superiore di circa 21 miliardi e nel 2022 e 2023, rispettivamente, di 34 e 43 miliardi. Questo ha comportato che il tasso di crescita 2021 sia passato da +8,3 a +8,9%, quello 2022 da +4 a +4,7% e quello 2023 da +0,9 a +0,7% per effetti delle notevoli variazioni al rialzo degli anni precedenti. Contestualmente il deficit/Pil 2023, per la crescita del denominatore, è calato dal 7,4 al 7,2% e così pure il debito/Pil dal 137,3% al 134,6. Non meno importante il fatto che il Pil nominale 2023 (2.128 miliardi di euro) si sia portato per la prima volta in 15 anni sopra il valore del 2008, prima della doppia grande crisi (Lehman e debito).

Come detto, Giorgetti non intende utilizzare toni entusiastici. «La revisione è di lieve entità e non cambiano i principi e il quadro del Piano strutturale di bilancio già esaminato dal Consiglio dei ministri lo scorso 17 settembre», ha dichiarato il ministro. Se da un lato, infatti, questa revisione potrebbe liberare - se non maggior deficit - almeno 2-3 per restare nelle stime del Def (4,3% del Pil quest'anno e 3,7% il prossimo), dall'altro lato la traiettoria di correzione dei conti pubblici prevista dal nuovo Patto di stabilità impone un taglio della spesa primaria netta dello 0,5% del Pil (circa 12 miliardi di euro) e questo vuol dire che il surplus della revisione renderà meno disagevole la correzione.

Questo non andrà a discapito di quelle che Giorgetti ha definito priorità: il taglio strutturale del cuneo fiscale e contributivo (circa 11 miliardi l'anno) e l'abbassamento dell'Irpef sulle famiglie con almeno due figli per favorire la natalità. Tutto il resto andrà finanziato, a partire dalla revisione delle aliquote Irpef (4 miliardi per il solo accorpamento delle due alla più bassa del 23% e altri 2,5 miliardi se si volesse portare la seconda dal 35 al 33%). Un quadro più chiaro si avrà dal Psb che dovrebbe tornare in Consiglio dei ministri venerdì prossimo.

Ecco perché il reperimento di risorse aggiuntive è fondamentale per estendere il campo d'azione della manovra 2025. In primo luogo, sarà di fondamentale importanza il successo del concordato preventivo biennale le cui adesioni scadono il 31 ottobre prossimo e da cui ci si attendono tra i 2 e i 3 miliardi di gettito. Ieri in commissione Finanze al senato è stato presentato un emendamento che ritocca leggermente le condizioni migliorative della procedura restringendo il ravvedimento speciale sulle imposte non versate dal 2018 al 2022 e non al 2023 come in un prima versione. Inoltre si prevede per chi aderisce al concordato e utilizza il ravvedimento, che i termini di decadenza per gli accertamenti in scadenza dal 31 dicembre 2024 al 31 dicembre 2026 sono prorogati al 31 dicembre 2027.

Rilevante anche il tema del contributo da parte dei settori che hanno beneficiato di condizioni di mercato eccezionalmente favorevoli. Esclusa, per ora, la possibilità di imporre tasse sugli extraprofitti delle banche, i cui utili sono stati spinti negli anni scorsi dal livello dei tassi.

Il dibattito si incentra sulla possibilità di rimodulare il prelievo come una sorta di contributo volontario di solidarietà. Secondo una simulazione della Fabi, con un contributo pari all'1% degli utili 2022 e 2023 si otterrebbero 661 milioni. Con una percentuale al 2% salirebbe a 1,322 miliardi di euro.

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