Telecom chiude un altro anno vissuto pericolosamente

Tra Opa fantasma, intromissione della politica e progetti dei grandi soci, in 12 mesi titolo dimezzato

Telecom chiude un altro anno vissuto pericolosamente

Dall'Opa di Draghi, al piano Minerva, fino alla rete unica di Stato. I balletti della politica intorno a Telecom non fanno bene al titolo e quindi ai suoi azionisti, piccoli e grandi (Vivendi è il primo azionista con il 23,75%).

Solo guardando all'ultimo anno durante il quale le giravolte dei governi sul destino del gruppo sono state molteplici l'azione Tim ha perso il 50%. E il confronto è impietoso sul lungo termine: negli ultimi cinque anni il titolo ha perso il 70% e se nel 2005 la società valeva 50 oggi si aggira sui 4,4 miliardi.

Guardando solo al recente passato, il gruppo guidato da Pietro Labriola ha vissuto un anno sull'ottovolante. Era il dicembre 2021 quando l'allora premier Mario Draghi sdoganava l'Opa sul gruppo da parte del fondo americano KKR e si garantiva occupazione, tecnologia, italianità col golden power. Il titolo viaggiava in area 0,3 euro e si spinse per un po' in area 0,5 a ridosso del valore che avrebbero pagato gli americani. Da allora i corsi del titolo si sono dimezzati. In mezzo, la bagarre.

L'Opa salta per questioni di prezzo e giochi politici, poi Labriola mette in campo la sua proposta: scindere la rete collocandola in una società separata, ma sempre sotto il tetto della casa madre (Netco e Servco). La Cdp, azionista numero due con il 9,81%, appoggia Labriola, ma in parallelo valuta se scindere la rete all'interno di Tim non affosserà l'altro progetto, quello che le sta più a cuore, cioè la nascita di un nuovo soggetto imprenditoriale che metta insieme l'infrastruttura Tim e quella di Open Fiber posseduta da Cdp con il fondo Macquarie.

Le idee sono confuse anche al governo: la rete unica piace all'allora ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, ma meno al ministro della Transizione digitale Vittorio Colao. E il titolo ne risente. Poi Draghi lascia spazio al governo Meloni. Sono mesi di stop and go. E alla fine sembra debba prevalere il cosiddetto piano Minerva che farebbe entrare lo Stato a monte. Cdp salirebbe nel capitale di Tim dal 9,81% attuale per un esborso (ipotizzato e massimo fino al 100%) di 5 miliardi. A quel punto, Tim acquisirebbe la quota della stessa Cdp in Open Fiber, stimata in 3 miliardi. Lo farebbe a debito, ma potrebbe finanziare l'acquisizione cedendo la partecipazione in Tim Brasil. Si torna quindi a parlare di Opa per Tim, ma stavolta da parte di Cdp. Niente accade. Il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso Urso e il sottosegretario Butti si danno tempo fino al 31 dicembre per definire il destino dell'infrastruttura in pancia all'azienda: si riparte da Minerva, ma di fatto è ancora un foglio bianco.

Aspettando di capire cosa accadrà, ieri Giorgia Meloni ha ribadito il controllo pubblico della rete e la tutela dei posti di lavoro. Ed è stata un'altra fumata nera l'incontro tra Governo, Cdp e Vivendi. Il governo ha però avviato una fase due: un tavolo al governo con il management di Tim. Il nodo resta però il valore di NetCo. La Cassa spingerebbe per la vendita di NetCo e sarebbe pronta a valutare l'asset 19 miliardi. Ma i francesi spingono per una scissione proporzionale che porti alla costituzione di due società quotate con gli attuali azionisti e valutano il gruppo 31 miliardi.

Nella speranza che qualcosa accada a breve ieri il titolo è salito a Piazza Affari (+2,8%) restando però sempre alla metà del valore di un anno fa.

Resta nei numeri di settore qualche certezza: secondo l'Agcom Tim è il leader di mercato con il 28,5% seguita da Vodafone (27,6%) e Wind Tre (24,2%).

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