Cresce l'interesse sul dossier Tim. In attesa che l'amministratore delegato della principale telco italiana, Pietro Labriola (nella foto), renda pubblico il nuovo piano industriale mercoledì prossimo, sul mercato continuano a rincorrersi voci di vari operatori interessati a rilevare l'ex monopolista. E ci sono diverse vie possibili, anche se per ora tutte allo stadio embrionale. Una è industriale (e ben vista dal mercato) e una relativa a diversi fondi di investimento interessati più al breakup dell'azienda che al suo rilancio, fermo restando che il piano di questi pretendenti dovrà necessariamente incontrare il favore di Palazzo Chigi. A quanto risulta a il Giornale, Iliad avrebbe affidato il mandato a una grande casa di consulenza internazionale, Boston Consulting Group, di studiare una possibile via per acquisire le attività di telefonia di Tim.
Interpellato, l'operatore telefonico francese fondato da Xavier Niel non ha voluto commentare. Essendo però questa l'unica via percorribile - almeno se si parla di consolidamenti di grossa taglia - anche la stessa Tim insieme ai suoi advisor starebbe studiando un possibile matrimonio con l'operatore francese (ovviamente con Tim nel ruolo del predatore).
Quale che sia la destinazione finale, tra gli operatori c'è ben presente l'idea che la via maestra per rendere il mercato italiano nuovamente profittevole è quella di ridurre il numero di operatori infrastrutturati da quattro a tre, analogamente a quanto si osserva in Germania e a quanto si sta verificando nel Regno Unito (dove Vodafone e Tre si sposeranno a breve). In tal senso, l'addio alla Concorrenza europea di Margrethe Vestager, principale fautrice dell'attuale configurazione del mercato, ha rimesso in discussione vecchi dogmi, anche in considerazione del fatto che il settore tlc è fondamentale per raggiungere gli obiettivi di digitalizzazione della Ue.
Allo stesso modo è fondato l'interesse di fondi come Apax Partners e Cvc: quest'ultimo disponibile a rilevare la quota di Vivendi (che chiede almeno 1,5 miliardi per lasciare) ma anche a lanciare un'Opa per delistare Tim. Per valorizzare l'investimento, l'idea sarebbe poi di procedere con uno spezzatino cedendo Tim Brasil e Consumer (la divisione telefonia) e andando a fondere Enterprise con Maticmind, società di cui il fondo britannico detiene il 70%. Cvc sta vagliando tutte le strade possibili e si sarebbe dato come deadline per decidere la fine di febbraio. Difficile, però, che ai piani alti del governo si accetti di buon grado l'ipotesi di uno spezzatino. Infatti, all'interno di Tim c'è la rete mobile cui fanno capo milioni di utenze degli italiani. Oltre al fatto che tuttora ci sono 17.630 dipendenti e quindi, soprattutto nel caso di una fusione con Iliad, questi potrebbero andare incontro a un drastico ridimensionamento. Insomma, Tim è e resta un'azienda strategica anche dopo lo scorporo della rete oltre che soggetta alla disciplina del golden power e ben difficilmente si accetteranno piani che non prevedano tutele per occupazione e investimenti.
Sta di fatto che, pur essendo ancora depresso rispetto ai suoi fondamentali, il titolo di Tim sta sperimentando una certa vitalità nelle ultime settimane (+1,1% ieri in Borsa 0,275 euro). Certo ha influito il report lusinghiero di Kepler Cheuvreux che ha alzato il suo target price a 0,35 euro e promosso a buy il titolo della società, sta di fatto che questo rinnovato fermento intorno al gruppo guidato da Labriola è una novità.
E forse, con l'aiuto di buoni conti e di un piano ambizioso, potrebbe in prospettiva mettere fuorigioco la speculazione al ribasso che da anni tiene inchiodato il titolo portandolo a esprimersi su livelli più vicini al reale valore.
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