Conto alla rovescia a Damasco: parte il risiko di chi sta con chi

Turchia, Israele e Giordania con gli Usa. Il Libano si aspetta il peggio

Damasco, sit in pro-Assad della Syrian Women's Union davanti alla sede dell'Onu
Damasco, sit in pro-Assad della Syrian Women's Union davanti alla sede dell'Onu

Tel Aviv - «Rilassatevi durante le vacanze». In una regione in allerta per un possibile imminente attacco americano contro la Siria, disorientano le parole del ministro della Difesa israeliano Moshe Ya'alon. Israele celebra in queste ore l'inizio del nuovo anno ebraico e il ministro ha assicurato ai cittadini che l'esercito non ha intenzione d'essere coinvolto in una guerra con la Siria. Da giorni i militari raccomandano alla popolazione d'andare avanti con la propria vita, nonostante le code ai centri di distribuzione di maschere antigas, il dispiegamento di batterie antimissile alle porte di Tel Aviv e al Nord. I vertici militari assicurano che la probabilità di una risposta siriana è bassa, ma premier, presidente e capo di Stato maggiore ripetono che il Paese è pronto a ogni scenario e se attaccato si difenderà con la forza.

L'allerta non è soltanto in Israele. Per molti analisti militari è difficile pensare che Bashar el-Assad, se attaccato, ordini un coinvolgimento del suo esercito - già logorato da due anni di guerra contro i ribelli - su altri fronti. Il raìs però ha consegnato al francese Figaro una minaccia: in caso d'azione militare straniera, la regione si trasformerà in una polveriera. Le sue truppe hanno il sostegno dell'Iran e delle milizie sciite libanesi di Hezbollah.

In queste ore, i Paesi vicini alla Siria - favorevoli o contrari a un attacco - si preparano all'emergenza. La Turchia dall'inizio del conflitto vorrebbe vedere collassare il regime di Assad. Il premier Recep Tayyip Erdogan ha ripetuto ieri che Ankara potrebbe prendere parte a una «coalizione di volenterosi» a fianco degli Stati Uniti. La base aerea di Incirlik, vicino al confine con la Siria, serve da decenni l'alleato americano e potrebbe essere cruciale in caso d'operazione. Il premier però non ha chiarito se la Turchia sia pronta a partecipare anche a un'azione militare, alla quale sono contrari l'opposizione e parte dell'opinione pubblica. A intimorire il Paese c'è una possibile reazione armata siriana, in forma d'attacco o di terrorismo.

In Giordania, il numero di siriani fuggiti dai combattimenti è salito a 520mila. La popolazione della piccola monarchia è cresciuta dell'8% in due anni. Una nuova ondata di profughi preoccupa Amman quanto una possibile risposta armata contro il suo territorio. Il sovrano Abdullah è un robusto alleato degli Stati Uniti nella regione, anche se Amman ha fatto sapere di non voler servire da rampa di lancio per un attacco. Il regno sostiene da sempre una soluzione politica per la Siria e il suo governo è nell'asse di Paesi contrari al regime degli Assad. Il King Abdullah II Special Operations Training Center di Amman ospita militari americani che da mesi addestrano anche un numero limitato di ribelli siriani del fronte più moderato.

Tutti i Paesi confinanti con la Siria temono il contagio di violenze che il Libano conosce già. Da mesi le tensioni settarie interne ricalcano le divisioni siriane tra sunniti e alauiti, gruppo religioso del raìs Assad. Nelle ultime settimane bombe esplose nei sobborghi sciiti di Beirut e nella città sunnita di Tripoli, sulla costa settentrionale, hanno fatto decine di morti. Un'operazione militare contro la Siria potrebbe inoltre innescare una risposta di Hezbollah contro Israele, capace di gettare il Paese in un conflitto simile a quello del 2006.

Oltre i 600 chilometri di confine tra Siria e Irak -attraverso i quali per anni sono passati jihadisti e militanti di ogni parte del mondo - il premier di Bagdad Nuri Al Maliki ha messo in

guardia sulle «impreviste conseguenze» di un «frettoloso» attacco. Il suo governo sciita teme che un indebolimento di Assad possa significare il rafforzarsi di gruppi armati sunniti nella troppo vicina Siria.

twitter: @rollascolari

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