La cultura che eleva gli uomini, affratella i popoli e scardina i pregiudizi. E la cultura che Londra rischia seriamente di mettere allindice, come nei tempi e nei regimi più bui, con liniziativa plateale e faziosa di diversi artisti più o meno noti, tra i quali Emma Thompson, Mike Leigh e Mark Rylance. Peccato che a finirci in mezzo sia Shakespeare, il genio universale al di sopra di qualunque fanatismo. Proprio al grandissimo dInghilterra è dedicata una bella sezione nelle Olimpiadi della cultura, in programma nel Regno Unito: trentasette compagnie teatrali di tutto il mondo chiamate a portare sul palcoscenico del Globe, nella loro lingua, unopera del sommo. Tra i gruppi invitati l«Habima», il teatro nazionale israeliano, con la produzione in ebraico del «Mercante di Venezia». «Habima», ovvero «Il Teatro», è una compagnia che ha più di un secolo di storia alle spalle: lesperienza nasce già nella Russia zarista dinizio Novecento, prosegue a New York e alla fine degli anni 20 trova a Tel Aviv la sua sede definitiva. La sua missione è mantenere viva la tradizione, la cultura e la lingua ebraica, ma non solo.
Eppure è proprio questo invito a scatenare una furiosa reazione in una certa parte del mondo artistico inglese, L«Habima» non è gradito. In una lettera al «Guardian», firmata da una trentina fra attori, registi, sceneggiatori, si legge: «Apprendiamo con costernazione e rammarico linvito rivolto al teatro nazionale israeliano, Habima. Habima è vergognosamente coinvolto con gli insediamenti illegali israeliani nei Territori Occupati. Il Teatro Globe, con il suo invito, si associa alle politiche di esclusione praticate dallo stato israeliano e condivise dalla compagnia del suo teatro nazionale. Chiediamo perciò che il Globe ritiri linvito, così da non rendere il festival complice della violazione dei diritti umani e della colonizzazione illegale delle terre occupate».
La pesante chiusura, che sottrae brutalmente allarte il suo insostituibile ruolo ideale, si sposa in questi giorni con liniziativa di Gunter Grass, accusato da Israele di filo-nazismo mascherato, per la pubblicazione del contestato poema «Le cose che vanno dette», scritto sferzante sulla politica israeliana verso lIran. Non a caso, dopo averlo definito «persona non gradita», Israele ha ricordato subito il passato giovanile di militare SS dello stesso scrittore, per tanti anni tenuto debitamente nascosto.
Leterno tema dellantisemitismo, che riaffiora ciclicamente nei contesti aridi e degradati delle bande giovanili, del tifo negli stadi, del fanatismo settario, torna prepotentemente anche al centro del dibattito culturale. La crociata contro «Habima» ripropone il solito gioco degli equivoci e delle incomprensioni: gli artisti inglesi accusano Israele per il suo atteggiamento contro i palestinesi, accomunando la compagnia teatrale alle scelte politiche del governo. Israele, da parte sua, si sente costantemente al centro di un pregiudizio insuperabile. E nemmeno stavolta, nemmeno per Shakespeare, sembra di intravedere la possibilità che almeno larte sia lasciata fuori, o al di sopra, della feroce contesa.
Quanto meno, gli organizzatori del Festival fanno sapere che la partecipazione di «Habima» non viene «in alcun modo messa in discussione». Sembra qualcosa. Anche nei momenti più cupi resta sempre accesa una timida luce. E la ragione.
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