Libia, i rapitori tacciono, ansia per i due italiani

Prigionieri di un gruppo di fanatici in un Paese senza legge che sprofonda sempre di più nel caos. È questa la delicata situazione di Francesco Scalise e Luciano Gallo, i due operai calabresi rapiti venerdì mentre lavoravano alla costruzione di una strada nella zona di Derna, la cittadina della Cirenaica libica roccaforte di Al Qaida. A 48 ore dal sequestro, avvenuto venerdì intorno al villaggio di Martuba - tra Derna e Tobruk - non sono arrivate né rivendicazioni, né richieste di riscatto. Ma probabilmente è solo questione di tempo. I gruppi del terrorismo jihadista sono infatti i veri «signori» di una regione dove negli ultimi mesi si sono susseguite le eliminazioni dei rappresentanti del governo e di esponenti del vecchio regime.

L'incertezza alimenta l'angoscia delle famiglie dei due rapiti che però mantengono la consegna del silenzio consigliata dai funzionari dell'Unità di Crisi della Farnesina. «Non abbiamo alcuna notizia. E in ogni caso intendiamo attenerci al riserbo assoluto che una vicenda così delicata impone», ripete la figlia di Francesco Scalise, il 63enne operaio di Pianopoli con alle spalle varie esperienze di lavoro in Libia. Luciano Gallo, il collega 52enne originario di Feroleto, era invece alla sua prima esperienza. «Ieri sono stato a casa loro, c'è molta preoccupazione per le notizie circolate ieri sulla stampa di un presunto rapimento da parte di un gruppo armato», riferisce il sindaco di Feroleto, Pietro Fazio ricordando che sia Luciano sia Francesco avevano accettato quell'incarico per mancanza di alternative. «Luciano era partito per la prima volta il 9 gennaio - spiega Fazio - purtroppo l'esigenza di andare in Libia a lavorare era stata dettata dalla mancanza di un altro lavoro».

Ora però l'evidente situazione di rischio e la mancanza di adeguate garanzie di sicurezza potrebbero spingere i colleghi di Francesco e Luciano ad abbandonare il cantiere. Secondo alcune indiscrezioni molti operai della sede di Derna avrebbero chiesto ai responsabili della General World, la ditta per cui lavoravano i due scomparsi, di poter rientrare in Italia.

Ad amplificare le preoccupazioni e a rendere più difficile un'eventuale trattativa con gli autori del sequestro contribuisce anche la non facile situazione libica. A Tripoli il premier Ali Zeidan ha dichiarato lo stato d'emergenza, ma il suo esecutivo è ormai ad un passo dalla dissoluzione. Accusato di aver perduto il controllo dei terminali petroliferi della Cirenaica controllati dalle milizie federaliste di Ibrahim Al Jadhran il primo ministro è stato abbandonato da tutti gli alleati e sarà probabilmente costretto alle dimissioni. Cosi mentre anche l'ultimo simulacro di autorità centrale rischia di scomparire il petrolio passa nelle mani delle milizie e dei gruppi secessionisti che lo rivendono incassandone i proventi.

E a rendere la situazione ancora più complessa e frastagliata s'aggiunge il ritorno delle milizie legate al vecchio regime del Colonnello.

Ieri alcuni gruppi armati sono scesi in strada nella zona ovest della capitale sventolando bandiere verdi e minacciando di occupare il vicino cimitero cristiano. Altri gruppi gheddafiani entrati in azione nelle sperdute regioni meridionali del Fezzan hanno occupato una base aerea nei pressi della città di Sebha.

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