Marò, i primi dubbi indiani E se fosse tutta una balla?

Il capitano dichiara: "Il nome della nave ce l’ha detto la polizia". E si scopre che in Afghanistan la nostra Marina salvò 12 indiani

Marò, i primi dubbi indiani E se fosse tutta una balla?

E adesso il proprietario del peschereccio che sarebbe stato colpito dalle raffiche dei marò cambia idea. In un'intervista al settimanale Oggi dichiara candidamente: «Nessuna certezza che la petroliera da cui sparavano fosse l'Enrica Lexie».

I due fucilieri di marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone restano, però, in carcere. E lunedì l'ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, capo di stato maggiore della Marina, nel suo discorso al rientro a casa dall'Afghanistan dei «leoni» del San Marco ha ricordato come i soldati italiani abbiano salvato 12 tecnici indiani presi in ostaggio dai talebani.

Nel numero di Oggi in edicola parla per la prima volta Freddy Bosco, capitano del peschereccio «St. Anthony», l'imbarcazione su cui si trovavano i due pescatori uccisi il 15 febbraio. «Noi non abbiamo letto il nome della nave. C'erano pallottole dappertutto, eravamo terrorizzati - dichiara Bosco -. Abbiamo solo visto che era una nave rossa e nera. È stata la polizia, a terra, a dirci quel nome». In pratica i simpatici agenti dello stato del Kerala avrebbero imbeccato il comandante del peschereccio dicendogli che si trattava dell'«Enrica Lexie», difesa dai marò. Nell'intervista il capitano descrive i momenti in cui i due marinai sono stati colpiti, ma sembra quasi che i proiettili siano arrivati dal nulla. Peccato che Bosco abbia più volte cambiato versione e che punti, come ammette, a un risarcimento per lui e le famiglie delle vittime.

Nel frattempo a Brindisi l'ammiraglio Binelli, di fronte ai marinai del San Marco schierati dopo sei mesi di missione in Afghanistan, ha ribadito «al maresciallo Latorre e al sergente Girone (rivolgo) l'assicurazione che non li abbandoneremo mai». Alla cerimonia di lunedì erano presenti i familiari dei marò in carcere in India con l'accusa di aver sparato ai due pescatori, in missione anti pirateria. Poi il capo di stato maggiore della Marina ha ricordato: «L'India non potrà dimenticare che il nostro team (di cui facevano parte Latorre e Girone, nda) proteggeva l'equipaggio della nave, composto anche da 19 marinai indiani, né potrà dimenticare che proprio uomini del San Marco hanno contribuito qualche mese fa alla liberazione di alcuni tecnici indiani tenuti in ostaggio da terroristi nella zona di Herat».

Lo scorso 3 novembre i talebani attaccarono il compound della Es-ko, che si trova ad un chilometro dal quartier generale italiano e fornisce supporto logistico al contingente e alle organizzazioni internazionali della zona. Un terrorista suicida si fece saltare in aria all'ingresso. Cinque talebani entrarono nel compound e presero in ostaggio 33 persone, compresi degli italiani e 12 lavoratori indiani. Intervennero i corpi speciali della Task force 45, di cui fanno parte i Comsubin, i commando della Marina. La cornice di sicurezza era garantita dal 66° reggimento aeromobile Trieste. Cinque terroristi furono eliminati ed i 33 ostaggi, compresi una dozzina di indiani, liberati. Un'aliquota di sei fucilieri del San Marco li evacuò a bordo di fuoristrada blindati.

Il console indiano fece visita a Camp Arena, il quartier generale del nostro contingente a Herat, ringraziando il generale Luciano Portolano che guidò l'operazione.

Binelli arringando i fucilieri di Marina appena rientrati dall'Afghanistan ha ribadito: «Sono certo che l'India, una grande democrazia giustamente orgogliosa della propria indipendenza, non potrà non tenere conto della nostre richieste di giurisdizione (i marò devono venir processati in Italia, nda), né delle pesanti ripercussioni, in caso contrario, sulle relazioni internazionali che tutelano l'impiego dei militari all'estero».

La fregata «Grecale», che solitamente è impegnata in missione antipirateria fra le coste somale ed il Golfo di Aden, ha gettato l'ancora sabato scorso a Colombo, capitale dello Sri Lanka, l'isola-Stato vicino all'India. Ufficialmente si tratta di una visita programmata, ma in realtà la missione ha a che fare con la vicenda dei marò trattenuti nel Kerala. Se la petroliera italiana bloccata da un mese a Kochi levasse le ancore sabato, come ci si aspetta, dirigerebbe su Galle, il porto meridionale dello Sri Lanka. I 4 marò a bordo, superstiti dell'incidente che ha portato all'arresto di Latorre e Girone, troverebbero la «Grecale» ad attenderli e un cambio dei loro commilitoni in servizio anti pirateria. Poi tornerebbero a casa con il «Grecale», che deve rientrare in patria, o in aereo da Colombo.
Questo a patto che la magistratura del Kerala non abbia idee diverse. Ieri è stata rinviata a venerdì l'udienza definitiva per liberare la «Lexie» con il suo equipaggio. Alla Fratelli d'Amato di Napoli, la società armatrice, sono fiduciosi. Il capitano dovrà firmare un impegno a ripresentarsi davanti alla corte del Kerala, se necessario.

Quando l'«Enrica Lexie» salperà sarà un primo successo, ma Latorre e Girone rimarranno in galera. Nonostante il capitano del peschereccio colpito sostenga di non aver alcuna certezza che la petroliera coinvolta nell'incidente fosse quella difesa dai marò.

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