Minacce dai filo russi L'inviato dell'Onu scappa dalla Crimea

Accoglienza aggressiva dei miliziani che "suggeriscono" il dietrofront "per motivi di sicurezza personale" DIARIO DALL'UCRAINA

Minacce dai filo russi L'inviato dell'Onu scappa dalla Crimea

Questo articolo è multimediale: le parti in blu fanno riferimento a video e foto esclusivi

L'inviato speciale dell'Onu in Crimea, l'americano Robert Serry, assalito da uomini armati e mascherati lascia la penisola su «suggerimento» del nuovo potere filo russo «per la sua sicurezza personale». Non solo: gli osservatori dell'Osce, l'organizzazione per la sicurezza e cooperazione in Europa, che stanno arrivando alla spicciolata nella capitale, Simferopoli, vengono accolti da un manipolo di filo russe inferocite. «Osce fuck off», insultano in inglese sventolando la bandiera russa davanti all'hotel Ucraina, nel centro città, dove alloggeranno i 35 osservatori compresi 2 ufficiali italiani.

Il veicolo di Serry viene fermato a Simferopoli, capitale della penisola, da una dozzina di uomini mascherati ed alcuni armati. Secondo il vicesegretario generale delle Nazioni Unite, Jan Eliasson, l'inviato delle Nazioni Unite «è stato minacciato e gli hanno intimato di lasciare la Crimea». Il diplomatico, dopo l'aggressione, si rifugia in una caffetteria dove la polizia lo preleva per scortarlo all'aeroporto. Su «suggerimento» delle autorità locali filo russe, il diplomatico lascia la penisola «per la sua sicurezza personale». Si teme che la stessa accoglienza sarà riservata agli osservatori della Osce, compresi due italiani. La missione è girare per la Crimea verificando l'invasione più strana del mondo senza proiettili che fischiano, per ora, e con delle truppe di occupazione in incognito. Non a caso la parola più diffusa in Crimea, piantonata dai soldati russi mascherati, è provokàzia, che va aggiunta a disinformàzia.
L'ingresso del quartier generale dalla Marina ucraina a Sebastopoli è piantonato da militari di Mosca senza mostrine e con il mefisto calato sul volto. Davanti hanno il solito cordone di attivisti filo russi. Un gruppo di mogli, mamme e fidanzate dei marinai ucraini dentro la base circondata si tengono a debita distanza. Ogni tanto vedono un loro caro che si affaccia alla finestra di un palazzone del quartier generale e lo salutano urlando e sventolando dei fiori gialli, che ricordano il colore della bandiera ucraina. (guarda la gallery)

Ad un certo punto arriva decisa Victoria con Sasha, il figlio di due anni, in braccio. Porta una borsa nera della spesa con generi di conforto, che vuole consegnare al marito, capitano di vascello, assediato dai russi. Niente da fare: i miliziani cominciano ad urlare «provokàzia, provokàzia» e alla poveretta non resta che piangere. «Sono nata in Russia e ho sposato un ufficiale ucraino, che non vedo da giorni. Cosa faccio di male?», lamenta la sospetta «provocatrice». (guarda il video)
Una fidanzatina vestita di nero riesce con uno scatto ad avvicinarsi alla grata di una finestra ed infilare un sacchetto con generi di conforto destinati al moroso con la divisa. Un soldatone russo interviene di corsa. Poi capisce la situazione e spinge dentro il sacchetto per risolvere in fretta il problema. (guarda il video)
Dopo qualche ora la contropropaganda schiera non solo acide vecchiette e nerboruti cosacchi con la frusta, ma pure una mamma con la bandiera russa usata come scialle assieme al figlio piccolo. Una pensionata espone un cartello che attira i fotografi: Sevastopol+Russia= un grande cuore rosso d'amore.

Una delle storie simbolo dell'invasione più strana del mondo è quella di due cugini molto legati fin da piccoli. Uno, nato in Russia, è arruolato nella flotta russa del Mar Nero. L'altro è ucraino e fa il marinaio nella base assediata di Sebastopoli. Un amico che ci prega di non fare i loro nomi spiega al Giornale che i due «si mandano sms, terrorizzati dall'idea di ricevere l'ordine di spararsi addosso a vicenda».
Per ora l'unica raffica è stata sparata in aria due giorni fa quando 400 soldati ucraini hanno cercato di riprendersi l'aeroporto militare di Belbek occupato dai russi. Il colonnello Yuli Mamchur (guarda la foto), che li guidava con la bandiera al vento, ha fatto marcia indietro. (guarda il video) Negli alloggi della base, dove sono rimasti gli ucraini, ammette «di non avere le forze necessarie per riconquistare l'aeroporto». (guarda il video) E aggiunge il fatidico spettro di non ben specificate «provocazioni» in arrivo. Un secondo dopo si sente il rombo del motore di un camion, che punta scoppiettando verso il cancello. Mobilitazione generale con comandante e soldati che corrono a difendere la base. In realtà è il camion scassato che porta la legna e tutti scoppiano a ridere.

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