Invece di stracciarci le vesti per Maga, perché non sento parlare di Mega, Make Europe Great Again? Cosa ci può essere di male nel volere il bene del proprio Paese? I disperati del Trump 2, la vendetta, hanno formulato ogni sordido e deprecabile commento sulla relazione preferenziale del nostro Primo Ministro Giorgia Meloni, salvo quello più basico ed evidente: entrambi puntano a portare in alto il rispettivo Paese. Ma questo nei salotti buoni è un disvalore.
The Donald ha spaccato, almeno nelle dichiarazioni di apertura, su due grandi aree, i valori Dei (male and female) e l'economia, che include l'Esg (environmental, social, governance, ossia ambientale, sociale e di gestione). Noi europei, depositari della verità, siamo più sensibili ai primi ma è dalla seconda che arriverà il dolore e forse proprio per questo l'istinto millenario ci porta a girarci dalla parte dei valori sociali, anzi verso l'alto, a un passo dal cielo, dove dovremmo stare. In verità, dove preferiamo stare, perché dell'economia non ne vogliamo sapere. Competere su crescita, Pil, produttività e via discorrendo è faticoso, impone ritmi frenetici, investire e rischiare, alzarsi presto e non per andare in palestra, tutta roba che i ricchi, decadenti e socialdemocratici europei non vogliono. Sfortunatamente, gli altri abitanti del pianeta ancora si sbattono e pertanto le relazioni internazionali ruotano attorno all'economia, ognuno mosso dal bisogno di garantire ai suoi cittadini accesso alle risorse e mercati di sbocco. Trump in politica estera altro non fa che metterci davanti alle regole del risiko globale e lo fa con la sua postura da bullo, così che nessuno possa fingere di non capire. La Groenlandia, strategica per le risorse e per la rotta artica, fa gola a Russia e Cina. I porti cinesi a Panama importano più dei missili di Cuba, dell'Ucraina per Mosca e del Mar della Cina per Pechino. L'Europa e l'Italia, invece di chiarire dove stiano i nostri interessi, gridano disperate di democrazia in pericolo, ritorno al passato che non c'è più, buio del mondo. La fine di un'era? Forse sì, ma quale era? Quella che dopo il Muro ha portato la globalizzazione? Ne hanno beneficiato le nazioni emergenti, Cina in testa, moltiplicando per cinque o per dieci il benessere dei propri abitanti: benissimo! Da quei consumi hanno tratto profitto molte imprese occidentali: ancora bene! Peccato che qualcuno non sia stato invitato alla festa: gli operai delle fabbriche americane e, in misura minore ma solo grazie al welfare di ispirazione sociale, di quelle europee. La manifattura da noi costa troppo e non conviene: meglio chiudere e aprire altrove, dove si accontentano e non le asticelle non sono troppo alte. La politica ha provato a mettere qualche paletto col Wto, ma le imprese e la finanza sono state più veloci, più voraci e anche più abili a farsi accompagnare da una politica compiacente che ammantava il tutto con la narrazione del villaggio globale e della decrescita: nel copione era felice ma poi il film nelle sale si è rivelato strappalacrime.
Ora certi elettori, in una democrazia plurisecolare che non ci può star bene a maggioranze alterne, hanno incaricato un presidente di rimettere la chiesa al centro del villaggio.
Cosa c'è di sbagliato? I Paesi in crescita pesano circa il 75% delle emissioni di fossili e le aumentano, mentre quelle americane ed europee sono in diminuzione e pesano rispettivamente il 13 e il 7%. Trump ha cancellato il Green Deal. Noi, che stiamo chiudendo le fabbriche e asfaltando l'economia, quand'è che ci decidiamo a mettere la «nostra» chiesa al centro del villaggio?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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