Più di altri, è stato Hermann Broch a ribadire la priorità della letteratura come sistema conoscitivo. Soltanto il romanzo può «rappresentare l'uomo nella sua interezza», scrive il sommo austriaco, visto che «la scienza non è in grado di fornire totalità, deve lasciare tale compito all'arte e quindi anche al romanzo». Nell'epoca in cui la scienza sembrava fornire la risposta a ogni quesito ultimo, Broch ne mostrava gli inganni, le imperfezioni, le manie. Sapeva ciò che diceva. I suoi romanzi la trilogia de I sonnambuli, La morte di Virgilio partono dalla storia (o da una storia, la trama), per dire l'uomo, la gloria, la nevrosi. Figlio di industriali, di formazione scientifica, Broch dialogava con Albert Einstein «colui che regge il nostro cosmo» lo definisce in una dedica e scriveva poesie sul Mysterium matematico (raccolte in: Hermann Broch, La verità solo nella forma, De Piante, 2021). Scrittore totalmente europeo, coltivava l'utopia dell'opera mondo, dell'opera infinita: tra i suoi lari figurano Goethe e Dostoevskij, tra i pari riconosceva Robert Musil, Thomas Mann, James Joyce. «L'obbiettivo infinito e irraggiungibile della scienza di fornire una immagine globale della conoscenza... trova nella cosmogonia e nella sintassi unitaria della poesia una realizzazione certo non reale ma simbolica», ribadisce, indomito, in un saggio del 1933, L'immagine del mondo del romanzo.
L'entusiasmo di Broch è stato per lo più disatteso: al romanzo che pretende il sacrificio dello scrittore, l'ossessione, i giorni indagati fino all'osso, si preferisce il libro rapido e indolore, innocuo, prono al premio. Nati, letterariamente, intorno a imprese romanzesche dell'assoluto I promessi sposi di Manzoni, il Ciclo dei vinti, ovviamente irrisolto, di Verga ci accontentiamo di libri flebili come un fiammifero, pura folata di effimere. Non è un caso, allora, se vasti affreschi come Estetica della Resistenza di Peter Weiss pubblicato in tre volumi dal 1975 al 1981 o il ciclo Joyeux animaux de la misère di Pierre Guyotat (il terzo volume, ambientato in «una megalopoli intercontinentale» tra «astronavi che occupano lo spazio celeste, bestie, mostri, folli di dio... fuggiaschi, evasi dal manicomio, assassini», è edito da Gallimard quest'anno) siano ancora intradotti in Italia, intraducibili in un Paese di bassi istinti letterari. Così, per cercare il romanzo totale, totalizzante, bisogna andare in altri mondi e leggersi il ciclo dei Seven Dreams di William T. Vollmann in Italia hanno tradotto tre volumi di sette progettati: I fucili è edito nel 2018 da minimum fax , la trilogia Abbacinante di Mircea Cartarescu (stampa Voland) o la «Tetralogia degli Elementi» di J.G. Ballard, ideata tra 1961 e 1966. In tutti, domina la distopia, l'entropia, l'antropologia. Il romanzo conoscitivo, però, può svilupparsi nell'intimo, nei meandri del baratro: la tetralogia di Uwe Johnson, I giorni e gli anni (in Italia stampa L'Orma) e i taccuini raccolti da Peter Handke in diversi volumi (Settecolori ha tradotto Di notte, davanti alla parete con l'ombra degli alberi) ne sono fausto esempio.
E la poesia? Nel 1960, in occasione del Nobel per la letteratura, Saint-John Perse sancì un legame tra «la grande avventura della mente poetica» e «la corsa, drammatica, della scienza moderna». Attraverso alcune opere miliari Pluies, Neiges, Vents, Amers si è confrontato con gli enigmi degli elementi. D'altronde, questo è il compito della poesia.
Non è un mistero che la grande opera poetica degli ultimi tempi, in un Paese chino al proprio ombelico più che aperto agli abissi del cosmo, sia la traduzione, da parte di Milo De Angelis, del De rerum natura di Lucrezio. Il poema della vita e della morte, in cui scienza e lirica, mondo e immondo convergono.
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