LA FINE DEL MONDO IN GIAPPONE

«Se avessimo avuto un terremoto della stessa magnitudo di quello del Giappone, l’Italia sarebbe stata rasa al suolo, con intere città distrutte e scenari apocalittici». Lo dice Giampaolo Cavinato, ricercatore dell’Istituto di Geologia ambientale e Geoingegneria del Cnr di Roma, che rassicura: «Per fortuna da noi terremoti di questa entità non ci sono, né sono mai stati registrati. Nonostante ciò, la lezione dell’Aquila ci ha ribadito l’importanza della prevenzione. E in Italia, purtroppo ce ne ricordiamo solo dopo che si è verificato un evento sismico». È questo il pensiero di tutti gli esperti che si occupano di eventi sismici. Il numero delle vittime cresce di ora in ora, tuttavia bisogna ricordare «che il Giappone è uno degli Stati maestri nell’edificazione antisismica», sottolinea Mauro Ferraresi, ingegnere civile e consulente per la prevenzione anti terremoto di amministrazioni pubbliche.
Nel terremoto del 1923 morirono 140mila persone. «Ma quello di ieri - continua Ferraresi - di quasi 9 gradi della scala Richter, è certamente il più potente della storia del Giappone. La differenza dell’onda d’urto della catastrofe che ha colpito l’Aquila con una magnitudo di 5,9 gradi, si misura in cifre a tre zeri». Lo dice anche Alberto Marcellini, direttore dell’Istituto per la dinamica dei processi ambientali del Cnr: quello giapponese è un terremoto 30mila volte più potente di quello dell’Aquila. Dove si registrarono 308 vittime. Mentre a Sendai, il tragico conteggio, provvisorio e approssimativo, parla di un migliaio di morti. Che, senza lo tsunami provocato dalla scossa, sarebbero state “solo“ alcune decine. «Purtroppo le onde hanno raggiunto una zona di costa particolarmente pianeggiante - osserva Stefano Tinti, esperto di maremoti dell’università di Bologna - per cui l’acqua è penetrata molto in profondità causando danni enormi».
Le immagini che ci arrivano, mostrano un cataclisma di proporzioni immense, con interi villaggi travolti, case sventrate e trascinate per centinaia di metri dalla furia delle acque, navi e auto scaraventate per aria come fossero modellini giocattolo. Dighe che crollano, incendi che divampano, allarmi da centrali nucleari che hanno suggertio l’evacuazione della popolazione circostante. Eppure, sia le autorità che la popolazione sembrano mantenere una relativa dose di autocontrollo. In Oriente mostrare paura e panico è segno di maleducazione. Ma se la disciplina resiste anche mentre a Tokio 4 milioni di persone restano senza luce e i grattacieli tremano lo si deve anche a una cultura allenata a convivere col pericolo. «Il sistema di pre-allarme ha funzionato - osserva ancora Tinti -.

I tempi sono stati molto stretti, prima che arrivasse l’onda sulla costa. Ma occorre dire che la Protezione civile locale fa fare spesso esercitazioni contro gli tsunami e la gente appena avverte le prime scosse sa perfettamente che cosa fare e dove andare».

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