Nato come una boutade, il giochino del Gianfranco Fini di sinistra sta diventando stucchevole ed equivoco, anche perché potrebbe celare qualche fraintendimento di troppo circa i caratteri ereditari del nascituro Popolo della libertà.
Non stiamo neppure a perder tempo col vezzo più trascurabile: quello di una sinistra residuale che è abituata a ricondurre a sé medesima tutto ciò che reputi giusto: in tal senso, ogni volta che Fini dica qualcosa di condivisibile, ecco che diviene di sinistra. Uno schema che è cretino non solo su un piano logico, ma storico-politico: in Occidente molte delle posizioni di sinistra attribuite a Fini sono patrimonio della destra. D’altro aspetto, e liquidiamo anche una parentesi che tanto parentesi non è, l’ecumenismo di Fini non può esser disgiunto dal suo ruolo di presidente della Camera: tutta la Camera. Non stiamo parlando di un opinionista televisivo a tambur battente, ciò che dalle sue parti sono altri: quello di Fini è il percorso elaborato e probabilmente sofferto di chi si avvia a sciogliere un partito storico per la seconda volta, dunque può permettersi tutte le articolazioni del caso avendone spesso pagato il prezzo.
Beninteso: il fatto che Fini si sia detto favorevole al voto agli immigrati già nel 2003 non significa per forza che la cosa sia passata in cavalleria; bruceranno ancora a qualcuno, parimenti, certi suoi bagni penitenziali nel suo «fascismo male assoluto» o quei pellegrinaggi a Gerusalemme e ad Auschwitz che pure sembrarono, ad alcuni, una classica excusatio non petita, accusatio manifesta. Neppure si vuole negare, alla vigilia della nascita del Pdl, che le posizioni di Fini e il suo progressivo fondersi senza confondersi possa aver spiazzato parecchi. Il leader di An ha più volte difeso la laicità dello Stato e l’autonomia dell’individuo, ha aperto alle coppie di fatto, ha votato quattro sì al referendum sulle staminali-embrionali, si è detto favorevole a un testamento biologico di tipo europeo che nulla condivida con l’attuale bozza Calabrò, ha dunque preso posizione a margine dei casi Welby ed Englaro, non ha rinunciato neppure a evidenziare certa ignavia del Vaticano di fronte alle leggi razziali. Eresie per alcuni, inopportunità politiche per altri: resta il fatto, non trascurabile, che a pensarla come Gianfranco Fini, nel centrodestra, sono sicuramente in milioni. E in milioni, probabilmente, fisiologicamente, non la pensano così per niente. Smembrare gli uni dagli altri non è difficile: basta tornare alla Repubblica multipartitica. Se vi piace. Per quanto riguarda Fini, poi, ci sono state le esternazioni sopravvalutate: ma quelle sulle ronde, o quelle sui medici che possano denunciare gli irregolari, paiono puntualizzazioni senza un’importanza che non sia solo quella di rammentare, soprattutto ora, che An non è la Lega. Altre, poi, sono scemenze fatte di nulla: giudicare «di sinistra» le recenti uscite di Fini sul Dalai Lama, o sul Festival di Sanremo, è da malati. Semmai è la funzione del Parlamento a dividere forse più seriamente Fini da Berlusconi: troppo seriamente per discuterne ora. L’equivoco, in definitiva, resta quello di chi pensa che il nascituro Popolo della libertà, in nome di una «linea», non debba o non possa contenere la pluralità di opinioni che pure già contiene: ossia il liberista come lo statalista, il forcaiolo come il garantista, il mangiapreti come il baciapile, eccetera. Forse il centrodestra denota ancora più identità di quante dilanino regolarmente il centrosinistra: la differenza, non da poco, è che non lo dilaniano.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.