La prima festa futurista del precoce autunno finiano è lì, nascosta dietro a un curvone sulla provinciale novedratese. Ma a differenza del precedente cinematografico fantozziano, laddove i ciclisti tagliavano il tornante per finire dritti sui tavoli della trattoria, qui i fan di Gianfranco non vedendo lo straccio di un manifesto, passano puntualmente oltre. Inutile e tardivo appendere la bandiera di Fli al muretto di un cantiere stradale, operazione peraltro rischiosa indossando la spilletta verde-blu e non il giubbotto catarifrangente. Per fortuna, qualche aficionado si accorge di aver sbagliato e allora fa inversione a caccia della discoteca «teatro dell’evento», si fa per dire: Summer Club 65. Praticamente un vaticinio sul numero dei partecipanti alla kermesse. Oltre la metà sono giornalisti, poi ci sono i quadri del movimento.
Perché tutti quei militanti (citati solo sui volantini e presenti giusto nei discorsi dei dirigenti) hanno disertato la prima uscita pubblica del leader subacqueo, esclusa la parata di Mirabello, s’intende. Eccolo confezionato il raduno flop di Futuro e libertà, partito cespuglio che s’è riunito ieri in mezzo ai boschi del Comasco. Venti minuti alle 11, ora x del comizio presidenziale, e le cinque file di sedie bianche e vuote a bordo piscina erano degne di un villaggio turistico fuori stagione. Allora ci ha pensato la provvidenza futurista a ritardare l’atterraggio del capo a Malpensa. Attimi preziosi per quei pochi coraggiosi che hanno sacrificato un sabato mattina sull’altare del terzopolismo. Si fruga nelle agende e nelle rubriche dei telefonini, «fate presto, ma dove siete?», «come non venite, ci sono i posti riservati!», «segui bene il navigatore e arrivi». Così, dove di sera si sbracciano i buttafuori, di giorno si son messi all’opera i buttadentro.
Veronica, vent’anni, s’è fatta accompagnare da papà Flavio. «Cosa non si fa per una figlia. E la settimana scorsa m’ha fatto andare fino a Mirabello». Lei, è l’età, sogna «un’alternativa di destra a Berlusconi» però legge il Fatto Quotidiano; lui, è l’età, l’ha sognata di sinistra ma almeno «i rossi con le feste dell’Unità ci sapevano fare». Già, qui manco una salamella. Per giunta nel pomeriggio si discute di crisi economica, intanto il pranzo al buffet costa euro 15 a cranio. In compenso le brioche resistono nei vassoi del bar all’assalto del visitatore che doveva esserci e invece non c’è. Languiranno (le brioche, non i visitatori) nell’oblio fino all’ora di pranzo.
Padre e figlia esitano, quasi non credono alla possibilità di sedersi «così davanti» al presidente comiziante. È tutto vero, non c’è bisogno di sgomitare. Le signorine del servizio d’ordine t’accompagnano in platea, a favor di telecamera. Due signore un po’ avanti con gli anni Fini lo seguivano anche da «prima» (dello strappo) e comunque resta sempre «un bel toso». I mariti non sono gelosi, tra le mani hanno la fotocamera per immortalare un possibile incontro ravvicinato, pura utopia ai tempi delle folle del Pdl unito. Luca e Stefania, sparuti rappresentanti dei ggiovani di Generazione Italia, hanno la faccia assonnata di chi la sera prima è andato a divertirsi con gli amici e poi scopri che erano tra il pubblico dell’Ultima parola. «Ma a Paragone che gli è preso? Sembra l’imitazione di Santoro: che vergogna, tutta la puntata sulle escort. C’è piaciuto Formigoni». Vallo a spiegare a Bocchino... a proposito, Italo doveva arrivare a Como già venerdì ma non s’è visto proprio, nemmeno lui ha ascoltato il verbo finiano. Chissà perché. «Come faceva a farsi vedere in giro? Dopo quella bastonata presa dall’ex moglie...» serpeggia il veleno tra i peones che leggono e rileggono l’ormai epica intervista della Buontempo al Corriere. Corna e bugie. «Roba da parrucchiere», eppure anche i finiani arrossiscono.
Non a caso Fini nel discorso sotto la tettoia in stile Africa nera, davanti alla sua tribù che già vive nella riserve, aggira da facocero astuto il terreno del gossip sul Cavaliere. Certo, la parola «intercettazione» spunta al terzo minuto d’eloquio, ma è per dire che «noi abbiamo sollevato per primi i problemi del centrodestra. Altri, poi, dicevano le stesse cose in privato...». Giura Gianfry che «non è un’anomalia» che un presidente della Camera predichi sul territorio come quei leghisti che lui snobba per le «carnevalate padane». E conclude: «Così non si va avanti, serve un altro premier». Senza svelare chi mai possa essere il salvatore della patria.
Prima di abbandonare il set l’uomo che sussurrava ai molluschi si concede un bicchiere in relax, dietro le transenne sistemate per contenere la ressa invisibile, omaggiato dai padroni di casa Fli, dal senatore Valditara alla consigliere milanese Giudice. Fini, bello abbronzato, sorride. Attorno tavolini e divanetti. Sulla testa casse e faretti. Un anno fa l’appartamento di Montecarlo era «un fatto privato», oggi si consola col partito privé.
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