Flannery O'Connor è come una lince: ci assale sempre uscendo dal buio

Dante l'avrebbe capita subito. No, non è questione di stile. Tanto meno di fede. Stile, fede... tutto ciò che comporta una scelta è futile. In effetti, si è scelti - e Dio, se accade, divora.

Flannery O'Connor è come una lince: ci assale sempre uscendo dal buio

Dante l'avrebbe capita subito. No, non è questione di stile. Tanto meno di fede. Stile, fede... tutto ciò che comporta una scelta è futile. In effetti, si è scelti - e Dio, se accade, divora. «Presenza». Questa è la parola adatta. Immagino Flannery O'Connor che passeggia intorno alla casa di Milledgville, Georgia, con Dante e l'Aquinate. Afferra un pavone, simbolo dell'onniscienza di Dio, e lo poggia sul braccio destro di Dante - lui, finalmente, sorride.

Uno dei racconti più enigmatici di Flannery O'Connor (1925 - 1964) è La lince. È giocato sul terrore che il mistero insorga da un momento all'altro, sinistro e duplice, nel gorgo della solita congrega di disfatti. La lince «è a caccia per conto suo... è sangue umano che vuole», dice «il vecchio Gabriel». La lince sfonda le tenebre, il suo sguardo perfora i mondi e li riassume nel morso: «l'avrebbe assalito quella sera, le zanne sarebbero state calde e gli artigli freddi». Il timore della lince, che nessuna trappola può fermare, si confonde con la visione, «lo aspettava il Signore con una folla di angeli e le vesti d'oro da indossare». Nel bestiario di Dante, la lince, «leggera e presta molto», appare come lonza, all'inizio della Commedia; nel De vulgari eloquentia è la pantera, invece, che saetta nell'oscurità, assale ma allontana il drago, il simbolo del linguaggio, del volgare, figura del Verbo, di Cristo. Flannery è il più grande scrittore realista della letteratura occidentale recente. Racconta la sola realtà che si deve raccontare. Quella invisibile. Il brulichio di chiamate e memorie e intenzioni che giace dietro le forme. La vita vera, che tortura le apparenze.

«Sono felice che tu mi abbia concesso Flannery O'Connor. Questa ragazza è una narratrice autentica... è un fenomeno raro: un romanziere cattolico con il senso del dramma e senza alcuna ansia di fare la morale», scrive Caroline Gordon a Robert Fitzgerald. È il 1951, Flannery compie 26 anni, alla Yaddo, Saratoga Springs, ha conosciuto Robert Lowell e Robert Penn Warren, suoi ferventi estimatori. Caroline Gordon, all'epoca è una scrittrice riconosciuta - nel 1952 gareggia per un National Book Award con Capote, Salinger, Faulkner e Thomas Mann. È l'audace consorte di Allen Tate, inserita negli ambienti giusti. Entusiasta di Flannery - «Molti scrittori pensano di essere Kafka. Lei è il solo autore che possa accettare un accostamento simile: il suo modo di scrivere è il più originale che abbia letto negli ultimi tempi. Intendo dire che lei, come Kafka, parte da una narrativa realista per dare atto al proprio sistema simbolico», le scrive - rompe le scatole a Robert Giroux, all'epoca mente di Harcourt, Brace & Company, finché non stampa La saggezza nel sangue, l'anno dopo. La O'Connor, «l'autrice americana più originale dai tempi di Hemingway» (Harold Bloom), pubblica due romanzi e una manciata di racconti. Il lupus le viene diagnosticato il giorno in cui trova l'editore. Muore nel 1964, in agosto, quando l'estate spacca la Georgia come un sepolcro e tutto è trasfigurato in angelo.

Da sola, con l'allucinata pazienza di un visionario, ha filato l'altro filone della letteratura statunitense, ha dato credito al «Southern Novel» («Ogniqualvolta mi chiedono perché gli scrittori del Sud in particolare hanno un debole per i personaggi anormali, rispondo che siamo ancora capaci di riconoscerne uno», scrive in Aspetti del grottesco nella narrativa del Sud), che ha avuto l'avo in Mark Twain, il pioniere in William Faulkner e i discepoli in Thomas Wolfe e Allen Tate, Robert Penn Warren e Carson McCullers, Eudora Welty e Katherine Anne Porter e Harper Lee, fino a Cormac McCarthy. Nel 1988 la Library of America ha insediato i Collected Works di Flannery O'Connor nella sua collana, riconoscendola tra i «padri» della letteratura americana. Con il consueto gusto per le ombre, il pettegolezzo e l'agiografia, sono uscite negli Usa due raccolte di lettere finora inedite: l'epistolario tra Flannery e Caroline Gordon (per la University of Georgia Press) e Good Things Out of Nazareth. The Uncollected Letters of Flannery O'Connor and Friends (Convergent Books). Il paradosso - o meglio, l'idiozia - è che gli unici due romanzi della O'Connor, La saggezza nel sangue (Garzanti) e Il cielo è dei violenti (Einaudi), sono scomparsi dall'orizzonte editoriale italiano da tempo. Il cielo è dei violenti uscirà per minimum fax a fine agosto, sessant'anni dopo la prima edizione, eureka.

«Flannery O'Connor è un maestro del racconto americano, entrata, fin dalla sua morte, in un ristretto canone che conta Hawthorne, Poe, Hemingway, Faulkner», scrive Benjamin B. Alexander introducendo le lettere inedite. Vero. Ma io preferisco Il cielo è dei violenti, con quella scena memorabile, quando Tarwater riceve la rivelazione, «silenziosa, implacabile, diretta come un proiettile. Il ragazzo non guardò negli occhi di una fiera e nemmeno vide un rovo ardente... Seppe di essere chiamato a diventare un profeta... Le sue pupille nere, vitree e immobili, riflettevano in profondità la sua immagine ferita che si trascinava a distanza dietro l'ombra sanguinante e fetida di Gesù, finché da ultimo riceveva il suo compenso, un pesce spezzato e un pane moltiplicato». Lo scrittore deve snidare il mistero - a smistare la realtà pensino i giornalisti.

L'attesa dell'uscita estiva è temperata da una primizia: nel nuovo numero di Studi Cattolici, Fernanda Rossini commenta il diario, finora ignoto, della O'Connor. Mi sorprende un concetto. «Oggi mi dedico al realismo. Diventerò un realista... Devo scrivere un romanzo». Era poco più che diciottenne; descrivere la realtà significa auscultare il segreto riposto in ogni cosa, il giogo e la gloria, il nervo dove palpita il redento. San Paolo si diceva «un aborto» e parlava «della sapienza di Dio, che è nel mistero»; Gesù è «venuto a portare la spada... a separare» e «guariva nel tempio ciechi e storpi»: il cristiano è lì, nell'ebrezza del mostruoso, nel genio dello scandalo. Quando penso a Flannery O'Connor mi viene in mente Deborah, la profetessa del Libro dei Giudici, che «sedeva sotto una palma» e da lì guidava Israele.

Edotta al canto, eleva un inno a Giaele: la donna aveva attratto con l'inganno il capo dell'esercito nemico, gli aveva dato rifugio, offerto del cibo; attese il sonno per conficcargli un picchetto nella tempia. Ecco, Flannery è lo scrittore inesorabile, tutto bianco, di una innocenza lebbrosa, che ulcera. Non puoi allevarla, non puoi allenarti alla lettura - ti distrai e ti colpisce, come la lince. È spietata.

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