La forza (liberale) della filosofia contro il dirigismo

Fece conoscere i classici "austriaci". Collegò mercato e dignità del singolo

La forza (liberale)  della filosofia contro il dirigismo

Con la scomparsa di Lorenzo Infantino viene meno uno dei protagonisti italiani delle scienze sociali: uno studioso a cui non soltanto dobbiamo la valorizzazione di alcuni dei grandi classici della tradizione liberale, ma che diede pure contributi originali alla riflessione sul potere e sull'ordine di mercato, mostrando a più riprese quanto sia assurda la presunzione di quanti intendono organizzare la nostra vita.

Laureatosi in economia a Siena e poi perfezionatosi in sociologia alla Luiss di Roma, per anni lavorò alla Banca d'Italia prima di dedicarsi interamente allo studio. Dopo esser stato assistente di Sociologia alla Luiss, nel 2001 è divenuto professore ordinario in quella stessa università, dove per un ventennio ha insegnato Metodologia delle scienze sociali. Più che sociologo, a ogni modo, Infantino s'è sempre considerato un filosofo, e in particolare un filosofo della società e delle scienze che l'analizzano. Al riguardo è chiaro come uno dei suoi lasciti più preziosi sia proprio la valorizzazione teoretica (ben al di là delle questioni eminentemente economiche) di studiosi come Carl Menger, Ludwig von Mises e soprattutto Friedrich von Hayek, a cui egli dedicò tante attenzioni.

Dopo una prima fase giovanile di ricerche strettamente connesse al suo rapporto personale (ancor prima che intellettuale) con Luciano Pellicani, Infantino ha sviluppato un'attenzione crescente nei riguardi di alcune tra le principali scuole liberali. Molti suoi studi, in effetti, riprendono temi degli autori di scuola scozzese (due nomi su tutti: David Hume e Adam Smith), che già nel XVIII secolo avevano focalizzato l'attenzione sulle conseguenze inintenzionali delle azioni umane intenzionali. Lungo questa strada egli indagò con attenzione la complessità dell'ordine sociale: il fatto che esso è il risultato del combinarsi di innumerevoli azioni e interazioni. Oltre a ciò, una bussola degli studi infantiniani era la consapevolezza che ogni essere umano è strutturalmente fallibile e ignorante: un dato le cui conseguenze sono costantemente sottostimate da quanti presumono di essere autorizzati a disporre di noi e governarci.

Per un'ampia parte della sua vita intellettuale fu decisivo il rapporto di collaborazione con Dario Antiseri. Senza il lavoro che essi condussero, anche in cooperazione con l'editore Florindo Rubbettino, molte delle opere della scuola austriaca non sarebbero neppure oggi disponibili in lingua italiana. Va sottolineato che non si è trattato di semplici traduzioni, perché le introduzioni che Infantino ci ha lasciato sono testi di straordinaria chiarezza e notevole profondità. Il rispetto che egli nutriva per questi maestri lo spingeva a profondere grande energia in ogni pubblicazione.

Quel suo sguardo disincantato sulla realtà sociale ebbe ovvie conseguenze di natura politico-filosofica. E in effetti Infantino è stato un deciso contestatore di ogni dirigismo, ben disposto a esporsi quando era opportuno e necessario per difendere i principi in cui credeva. Anche se non ebbe mai una vera militanza politica in senso stretto, non fu indifferente dinanzi a quanto accadeva e in talune circostanze scese in campo in prima persona per condurre quelle battaglie civili che riteneva importanti. Persuaso in particolare della necessità di far crescere la competizione entro l'universo delle istituzioni scolastiche, per anni (insieme ad Antiseri) si spese con l'obiettivo di far comprendere la necessità di introdurre quel buono-scuola già suggerito da Milton Friedman quale strumento in grado di far scegliere a ogni famiglia dove mandare a studiare i propri ragazzi.

Uomo del Sud (era nato a Gioia Tauro), si sentiva britannico «d'adozione». Sopra ogni cosa, d'altra parte, egli amava recarsi a Oxford, dove scrisse una parte significativa delle sue opere. E in questo senso vale la pena di ricordare tra le sue numerose pubblicazioni una delle ultime: un libretto davvero prezioso in cui ha riproposto le pagine in cui David Hume spiegò il suo rapporto con Jean-Jacques Rousseau e reagì alle accuse (assurde, infondate, del tutto irrazionali) rivoltegli dal Ginevrino. Nella formidabile prefazione al testo, Infantino ci aiuta a comprendere non soltanto la diversa qualità umana di questi due protagonisti della cultura del Settecento, ma anche e soprattutto l'ideologia violenta e collettivista di cui si nutre la filosofia politica del Contratto sociale.

Nell'insegnamento di Infantino, d'altro canto, troviamo soprattutto una netta difesa del liberalismo di mercato: dei suoi valori e della sua attenzione alla dignità del singolo.

Quando nel dicembre del 2022 intervenne su Luigi Einaudi egli sottolineò che «c'è stato un momento in cui noi quasi ci siamo quasi vergognati di essere liberali», aggiungendo però che la maggior parte delle conquiste tecnologiche e umane di cui disponiamo si devono proprio alla possibilità di agire liberamente e a quel regime di mercato che esige al tempo stesso concorrenza, libera scelta e responsabilità degli attori.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica