Milano - Francesco Nuti all’inferno andata e ritorno. Esce in questi giorni l’autobiografia dell’attore segnato ma non sconfitto da un grave incidente domestico. Nell’estate del 2006, Nuti cade dalle scale, entra in coma, viene operato d’urgenza. Inizia un atroce calvario, accompagnato da qualche scioccante uscita televisiva (con polemiche annesse). Nuti emozionatissimo piange, non riesce a parlare né a muoversi. Sono un bravo ragazzo (Rizzoli) è il segno che qualcosa è cambiato, che Nuti sta meglio, e che c’è luce in fondo al tunnel della malattia neuromotoria.
La comicità italiana, negli anni Ottanta, aveva due volti, anzi due maschere, arrivate quasi insieme al successo di massa: quella ipercinetica, logorroica di Roberto Benigni e quella laconica di Francesco Nuti. Erano entrambi cresciuti a Prato, separati appena dalla linea ferroviaria. Qualcuno, nonostante l’evidente grandezza di Benigni, preferiva Nuti. Perché, nei suoi silenzi improvvisi, negli scoppi d’ira, negli occhi dolenti, nelle battute sarcastiche e perfino nel suo sentimentalismo si avvertiva un pizzico di verità in più. I critici non la pensavano così, e lo stroncavano con la stessa regolarità con cui, in quegli anni, il pubblico lo premiava al botteghino. Al tempo della lira, nel 1988, Caruso Pascoski di padre polacco fece quindici miliardi di incassi: un successo clamoroso. Fu preceduto, tra gli altri, da Casablanca Casablanca, esordio alla regia pluripremiato, e seguito da altri blockbuster notevoli quali Willy signori e vengo da lontano e Donne con le gonne.
Verità, sincerità. E sì, in effetti, questo libro è molto diverso dalle solite memorie di una star. C’è il Nuti che ti aspetti (il biliardo e Buster Keaton, fonti d’ispirazione predilette). E il Francesco inatteso, che non ha paura di fare e farsi male, guardando dritto negli occhi il se stesso di un tempo, trovandolo mediocre («Ci sono stati anni in cui ero odioso, arrogante, prepotente»).
Ecco quindi il giovin attore all’apice del successo: macchine, molte macchine. Donne, moltissime donne, spesso conosciute sul set, come Isabella Ferrari. Alcol, troppo alcol. Ed ecco la stessa persona, un secondo dopo, pronto a discendere la china a grandi falcate e perdere tutto. Perché non appena arriva in vetta, qualcosa si spezza. Ci sono la rabbia per non essere riconosciuto come autore e l’invidia, un sentimento difficile da ammettere per un artista. Invidia soprattutto verso Massimo Troisi, che sembra impossessarsi di tutto ciò che manca a Francesco. Comico di razza, è coccolato dalla critica, dai colleghi (Ettore Scola, a esempio), dalle televisioni, dai giornalisti. In più Troisi gli ha soffiato l’amata Clarissa Burt durante una festa a Roma. Nuti ammette di aver sperato nel fallimento dei film del rivale napoletano.
La dieta di vodka e sigarette non è un toccasana per la depressione incipiente. Nuti perde il controllo. Egli stesso si giudica impresentabile. Infatti inizia a non presentarsi: manca gli appuntamenti, si guadagna la fama di inaffidabile, qualcuno magari gli presenta il conto di passati rancori. Il ruolo di attore di successo gli va sempre più stretto, la maschera è diventata una prigione. I Novanta diventano un lento abbandono di se stesso e del cinema.
Una notte del 2006 cade dalle scale e si addormenta. Rischia la vita. Oggi non porta maschere, quello che si vede è solo commozione. Per questo turba tanto quando appare in tv: non siamo abituati a vedere un uomo (un attore, poi) che non recita una parte. «Commozione - scrive lui - non vuol dire disperazione, ché la disperazione è piatta come un muro, livida, muta. Io non parlo, ma non sono muto. Il mio è il silenzio di chi parla con gli occhi». Ora il futuro è ancora aperto. Nuti ha ripreso in mano le sue ultime sceneggiature, ha realizzato una antologia di canzoni con il fratello Giovanni e Marco Baracchino, ed è protetto dall’amore della figlia Ginevra.
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