
Possiamo partire dalla fine, dicendo che cosa accade, ma non a chi. Qui non si spoilera, si tenta di capire ciò che è molto facile capire. Dunque. È un giorno qualsiasi dell'anno 1952. Dall'aprile del 1946, quello che era stato il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau è diventato un museo, e oggi, come sempre, c'è una gran folla a visitarlo. Tra la folla, ci soffermiamo su un uomo, una donna e il loro bambino di sei anni. Osservano «borse e portafogli fatti di pelle umana. Made in Germany», i «materassi imbottiti con i capelli femminili» e «un mucchio grande come un covone di fieno e c'erano occhiali di tutte le forme e dimensioni. Le montature di metallo erano già aggredite dalla ruggine». Il bambino gironzola avanti e indietro e si ferma in una sala a parlare con la guida del museo. Dopo un po' torna, insieme alla guida, dai suoi genitori, e guida e bambino s'inchinano di fronte alla donna. Il libro si chiude con un primo piano del padre: «E sorrideva con uno sguardo cupo».
Perché il suo sguardo è cupo? Teme che la guida abbia molestato il bambino? È seccato perché pensa che la guida voglia fare il cascamorto con la sua donna? No, è molto di più, è la memoria, la personificazione della memoria: la guida è un telegramma in carne e ossa proveniente dall'Olocausto.
L'autore di questo libro è Danilo Ki, serbo di Subotica, e il libro s'intitola Salmo 44. Quello che dice, fra l'altro: «Per te ogni giorno siamo messi a morte,/stimati come pecore da macello./ Svégliati! Perché dormi, Signore?/ Déstati, non respingerci per sempre!/ Perché nascondi il tuo volto,/ dimentichi la nostra miseria e oppressione?/ La nostra gola è immersa nella polvere,/ il nostro ventre è incollato al suolo./ Àlzati, vieni in nostro aiuto!/ Salvaci per la tua misericordia!». Il libro uscì per la prima volta un decennio dopo la scena sopra descritta, nel 1962, ma soltanto ora è disponibile in italiano (Adelphi, pagg. 135, euro 19, traduzione di Manuela Orazi). Era l'esordio di Ki, lo pubblicò l'editore Kosmos di Belgrado insieme a Mansarda, un romanzo di tutt'altro genere, in tono satirico sui sogni di gloria letteraria e il duro lavoro di apprendistato di un giovane scrittore. Sempre nel 1962, Ki si trasferì in Francia, dove insegnò serbo-croato prima a Strasburgo, poi a Bourdeaux e a Lille, e infine a Parigi, dove morì a 53 anni, il 15 ottobre 1989.
La visita di padre, madre e bambino al Museo di Auschwitz-Birkenau è un ottimo espediente narrativo per chiudere il cerchio delle vicende di Salmo 44, e anticipa di cinque anni un'altra visita, questa volta non immaginaria ma reale, a un altro lager, quello di Natzweiler-Struthof, nei Vosgi. A compierla fu Boris Pahor, lo scrittore sloveno morto nel 2022, e da quei momenti nacque il suo libro autobiografico più famoso, Necropoli. Ki non conobbe direttamente gli orrori dell'universo concentrazionario, ma da bambino, nel '42, scampò al massacro di Novi Sad, compiuto dalle truppe ungheresi filo-naziste, soltanto perché era stato battezzato, con rito ortodosso, mentre suo padre Eduard, ebreo ungherese, lui sì fu internato ad Auschwitz-Birkenau.
In Salmo 44, con un vortice di analessi e prolessi simile a una bufera di neve che si muove all'indietro e in avanti nel tempo, si raccontano i preparativi di una fuga proprio da Auschwitz-Birkenau. Abbiamo tre donne: Maria, la protagonista, dubbiosa e incinta; Jeanne, decisa ed energica, e Polja, ormai moribonda. Maria non è finita fra le condannate a soddisfare sessualmente gli aguzzini, quindi di chi è il figlio che porta da poco (e ovviamente di nascosto) in grembo? Di Jakub, l'uomo che, di fronte al capo dell'Istituto di ricerca che le aveva chiesto «Ha mai avuto occasione di aggiungere a quello sporco miscuglio un po' di sostanza ariana?», ha sentenziato, essendo medico, «È un semplice scarto, una perdita di tempo. Los! Los!» (Andare! Andare!). La guerra sta finendo, mentre fuori «i cannoni lentamente abbattono il bastione di cemento dell'attesa passiva e della rassegnazione al destino», nella loro cella Maria e Jeanne attendono il segnale convenuto, perché qualcuno, nell'ombra, sta preparando la loro liberazione... Però non si può certo correre il rischio che i fari di sorveglianza illuminino le fuggitive nel cuore della notte, prima che riescano a strisciare sotto il filo spinato...
Anche l'autore, come la sua Maria, fugge dai vincoli di spazio e tempo con una catena di flashback e flashforward, chiamando in scena il padre di Maria (ricalcato sul suo, di Ki), i tram vietati ai juden (su cui anche lui non poté salire), le mattanze dello «scuoiatore comunale Kenyeri» che faceva a pezzi i morti e li infilava nel ghiaccio, le angherie subite dai coetanei in un'infanzia (come la sua) cresciuta fra i semi del male. Ma l'apice della tensione e dell'abiezione si trova nel dialogo fra Jakub e il direttore dell'Istituto al quale viene dato un cognome che la dice tutta, considerando quanto del suo celebre omonimo, piegandolo al servizio del loro delirio, presero le belve naziste: dottor Nietzsche. Mentre Maria, grondante sangue, ascolta nascosta in un armadio.
Salmo 44 è una rivolta postuma,
dunque un monito a guardarsi dalle aberrazioni di qualsiasi potere, soprattutto quando è affetto dal delirio di onnipotenza. Ecco ciò che volevamo capire all'inizio. Ed è facilissimo capirlo, soprattutto in questi giorni.
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