Gli artigiani che vestono i genovesi dal 1899

(...) presentiamo il nostro articolo di punta, la camicia. Che mantiene il tradizionale colletto del bisnonno Emanuele, ma oggi abbiamo alleggerito il tutto, abbiamo snellito la produzione».
E la cravatta?
«Non manca nella nostra vetrina, disegnata sempre da noi». Già: in quel laboratorio chiuso nel cuore del centro storico, in piazza Lavagna, dove Nonno Emanuele aveva iniziato il suo cammino d'artigiano di lusso. Già perché Emanuele Finollo fu artigiano e imprenditore ad un tempo ed ebbe il coraggio di essere uno dei pochi a perseguire, anziché la strada della produzione di massa, quella più faticosa, ma assai più gratificante, almeno sul piano umano, dell'Artigianato. Ed è il concetto che esprime, oggi, la giovane Francesca: «Certo, noi siamo artigiani, vogliamo rimanerlo, il laboratorio di piazza Lavagna è un simbolo di come lavoriamo». Con Francesca c'è anche mamma Daniela che di cognome fa Finollo. E il negozio è sempre quello di via Roma, quello che nel 1999 aprì Emanuele. E fu lui a disegnarne il prospetto (lo stesso che vediamo oggi), le porte, le maniglie, i bronzi che le ornano, gli interni, persino gli stucchi del soffitto ispirandosi, specie negli armadi, ai vecchi negozi londinesi. Perfetto stile liberty.
Ma oggi ha ancora senso parlare di stile, di gusto, di nostalgie londinesi?
«Certo - dice Francesca - non per niente abbiamo detto eleganza senza tempo, lo stile deve continuare, noi lo continuiamo, da artigiani naturalmente che non amano la massa, ma credono ancora nella creatività, cerchiamo di trasformare le idee in piccole opere d'arte».


Col sottofondo del malinconico sax di Jessica Cochis, si scorgono personaggi curiosi in questo invito al «Meliá», dove la sofisticata Stefania Serra si muove felpata e il direttore, general manager Paolo Doragrossa conferma che Genova è troppo bella per essere dimenticata e il «Meliá» non è da meno dei confratelli di Roma e Milano.

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