Se la nomina di Raffaele Fitto ai vertici del nuovo governo europeo è la prima pietra del nuovo modello di una destra di governo, affidabile e autorevole, capace di sedere con successo nel salotto buono dell'Unione, come ha scritto Alessandro Sallusti su queste colonne, non v'è dubbio che l'evento cui abbiamo assistito ieri in Confindustria rappresenta la seconda pietra di una costruzione che promette fondamenta robuste. La grande sintonia sulle cose da fare emersa dalle relazioni di Emanuele Orsini, nuovo presidente degli industriali italiani, e di Giorgia Meloni, portatrice a sua volta di un progetto di cambiamento in senso conservatore che ogni giorno di più rivela la sua solidità, al di là dei pur deprecabili «incidenti di percorso» che però non offuscano la sostanza dei risultati, è la conferma che il vento è davvero cambiato.
Ciascuno nel rispetto del proprio ruolo, Meloni e Orsini hanno offerto netta la sensazione di avere le idee chiare su ciò che l'uno può chiedere all'altra e viceversa, consapevoli che le risorse disponibili sono limitate e quindi non è aria di pretese sognanti, ma entrambi pronti a muovere per correggere rapidamente le balorde normative, specie per quanto riguarda la famigerata transizione green. Insomma, una perfetta saldatura tra potere esecutivo e potere produttivo che non si vedeva da molto tempo e che promette di sanare, per quanto possibile, anche le non poche storture che in questi anni hanno inquinato le relazioni industriali a causa di un sindacato sempre più arroccato su posizioni polverose, di imprenditori concentrati soprattutto su se stessi e di governi partigiani o troppo distratti. Mai si era sentito un presidente della Confindustria esaltare la responsabilità sociale di impresa, elevandola oltre il valore dei risultati economici. E mai si era visto un premier che sulla pubblica piazza invita esplicitamente il leader degli industriali per valutare insieme i temi dell'imminente manovra di bilancio. Merito di un capo di governo determinata che ha ben chiari gli obiettivi che si è data, pronta a sacrificare qualche consenso pur di realizzare il suo progetto di riforma e dimostrare che c'è anche una destra che sa governare secondo i principi della democrazia; e merito di un imprenditore che, sfidando ingrigiti salotti ormai vittime dei loro stessi automatismi, ha saputo meglio interpretare la sete di cambiamento che da tempo saliva invano dal basso e che solo un esponente del territorio avrebbe potuto placare.
Naturalmente non andranno sempre d'accordo, è naturale, l'idillio perenne non è di quelle latitudini visto che su alcune istanze - i temi fiscali saranno sempre divisivi - il confronto si farà anche serrato. Ma le basi per il varo di una nuova politica industriale, meglio se ben radicata a Bruxelles, oggi sembrano più solide. E comunque c'è un punto sul quale andranno sempre d'accordo, lo ha esplicitato la Meloni stessa: e cioè che l'Italia può ancora dimostrare al mondo quanto vale, può ancora lasciare tutti a bocca aperta. Del resto lo sta già facendo. Basti pensare al gran balzo delle esportazioni che, nonostante la crisi globale, sta sbalordendo anche gli scettici; o al fatto che in materia di crescita del Pil, da fanalino di coda ora l'Italia è tra i migliori d'Europa, avendo peraltro scavalcato Francia e Germania; o infine al fatto che per la prima volta nella storia di questo Paese il numero dei lavoratori ha superato la soglia dei 24 milioni.
E si potrebbe continuare. Certo, si può e si dovrà fare meglio, per esempio sul fronte dei salari, della scuola, della sanità. Ma se il buon giorno si vede dal mattino, vale la pena di tifare affinché questo governo duri l'intera legislatura.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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