Se il rapimento è deciso dal rapito

È chiaro che questo processo non avrebbe mai dovuto essere istruito, per una ragione principale e importantissima per la nostra democrazia, ovvero quell'equilibrio tra i poteri dello Stato che dovrebbe impedire ad un Tribunale di processare un ministro per l'applicazione di una legge

Se il rapimento è deciso dal rapito
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Davvero un singolare caso di rapimento quello che si sta processando in un aula bunker di Palermo, costruita per i maxi processi alle cosche e i cui muri credo non si aspettassero davvero di ospitare un ministro della Repubblica accusato di sequestro. Prima però di affrontare la mostruosità di un procedimento che vede imputato l'allora titolare del Viminale, dicastero incaricato di prevenire e reprimere i reati, di aver agito per evitare il reato di immigrazione clandestina appunto, prendiamo la vicenda da un altro punto di vista.

Ammettiamo che il reato sia avvenuto, siamo sicuri che alla sbarra ci sia il sequestratore giusto? Chi ha rapito chi? Chi è stato a sequestrare i migranti imbarcati sulla Open Arms? Perché tra le tante anomalie di questa vicenda ve ne è una unica credo nella storia dei sequestri di persona: il rapito non viene rilasciato perché colui che lo tiene in consegna non gradisce il luogo del rilascio!

Faccio da anni il giornalista, nei primi anni della professione mi sono occupato di sequestri di persona, non ricordo una mancata liberazione per disaccordo sulla geografia e toponomastica della località scelta per il ritorno in sicurezza e libertà dell'ostaggio.

Capisco che il linguaggio possa apparire incongruente al caso di specie, appare anche a me, ma ricordiamoci sempre che si sta affrontando un presunto reato di sequestro, per quanto incredibile possa apparire.

Torniamo alla dinamica del reato. I sequestrati sono custoditi dall'equipaggio della nave Open Arms. Non possono abbandonare lo scafo di loro volontà senza il consenso dell'equipaggio, che, a tal fine, dovrebbe condurre la nave in una banchina.

Il personale della Organizzazione non governativa che li ha raccolti dovrebbe fare in modo di sbarcarli nel più breve tempo possibile e compatibilmente con le legge e le regole della marineria. Dunque nel porto sicuro più vicino alla posizione della nave. Questo però non accade.

Ora, poco importa per questa mia breve requisitoria, se sia stato il porto più vicino, Malta o uno stato costiero africano, a rifiutare lo sbarco, oppure l'equipaggio ad evitarlo maliziosamente per puntare dritto sull'Italia per ragioni politiche. In ogni caso, se di sequestro si tratta, il colpevole va trovato tra questi soggetti, che, palleggiandosi la responsabilità, hanno comunque fatto sì che i migranti restassero prigionieri, prolungando il loro rapimento. Matteo Salvini arriva molto più tardi sul luogo del delitto, dopo che il reato è stato commesso.

Ma nel caso vi è anche una recidiva: Open Arms infatti avrebbe potuto recarsi in un porto della paese di cui batte bandiera, obbligato dal diritto marittimo ad accoglierla. Il paese è la Spagna, stesso mare dell'Italia, stesso clima, un paio di giorni di navigazione. Questo però non accade. Il sequestro continua, ma Salvini non comanda quella barca.

L'equipaggio è deciso che deve liberare i rapiti a suo piacimento, ovvero in Italia. Ora, so di

scrivere cose un po' surreali, ma surreale è la realtà di questo procedimento. Infatti, se volessimo fare un paragone, stando sempre all'ipotesi di reato, è come se dei rapitori si presentassero alla frontiera di un paese terzo richiedendo un visto per entrare e liberare oltre confine un loro rapito. E, a fronte di un rifiuto, si rifiutassero di liberare il recluso in altro luogo accessibile continuando a tenerlo prigioniero, e per questo, finissero accusati di sequestro gli agenti di frontiera e non coloro che hanno in proprio potere l'ostaggio.

Non c'è bisogno di aggiungere altro. È chiaro che questo processo non avrebbe mai dovuto essere istruito, per una ragione principale e importantissima per la nostra democrazia, ovvero quell'equilibrio tra i poteri dello Stato che dovrebbe impedire ad un Tribunale di processare un ministro per l'applicazione di una legge.

E nel caso un giudice ritenga quella legge violi la Costituzione della Repubblica, vi è una Corte appositamente deputata dalla carta fondamentale a giudicare su questa fattispecie. Quand'anche però, e sempre ragionando per assurdo, tale processo fosse legittimo, vi è, come dicono gli avvocati, una insormontabile subordinata: i nostri occhiuti giudici starebbero processando il rapitore sbagliato!

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