La grande passione per il moderno di Maria Calderara

La stilista: «Da piccola costruivo casette coi cartoni da imballaggio»

Antonello Mosca

Rigore maniacale e invezione appassionata. Frenesia e raziocinio, matematica e pathos, Maria Calderara crea giocando sul sottile filo dei contrasti. Giunta alla moda dopo studi di architettura si dedicò fin dall’inizio alla creazione di gioielli, per poi includere dieci anni fa anche sciarpe e borse. Solo tre anni or sono Maria Calderara si decide a disegnare una collezione completa di abbigliamento per poi aprire due show room a Parigi che si affiancano a quello storico di Milano in via Lazzaretto.
Collezioni atemporali, leggere, gioielli invisibilmente preziosi, accessori eleganti e raffinati, sempre all’insegna dell’originalità. Studi da architetto, creatività senza fine, come poteva Maria Calderara non occuparsi con interesse della sua casa? Eccola allora rispondere con precisione: «Il tema dell’abitare, dello spazio domestico, vissuto soprattutto come nido, mi ha attratto da sempre. Pensi che quando ero bambina mi divertivo a costruire piccole case usando i cartoni da imballaggio e lì mi ritiravo con tutte le cose più preziose. Diventata più adulta ho scelto lo studio dell’architettura, e durante quegli anni ciò che ho maggiormente approfondito sono state soprattutto le soluzioni per gli spazi abitativi».
C’è un elemento che considera fondamentale per una casa?
«Credo sia soprattutto la luce. Penso che essa debba entrare in gioco soprattutto attraverso delle grandi finestre e, perché no, anche passando tra aperture create nelle pareti e nello stesso tetto. Così la mia abitazione è davvero piena di luce, il che, amio giudizio, genera in tutto il complesso una grande allegria, anche se a ben vedere tutto l’arredo e le linee architettoniche sono molto semplici e lineari».
A parte la luce c’è un altro componenete che le piace sia presente?
«Guardi ho sempre cercato in tutte le case che ho abitato di ottenere quell’atmosfera serena e con un contenuto di benessere che è tipica delle vacanze».
La sua non è allora una casa cittadina?
«In effetti è così, è costruita attorno al lago di Garda e pur non essendo possibile dichiararla di rappresentanza, penso che attraverso pochi ma significativi elementi rispecchi bene il mio modo di essere e di vivere».
È un insieme molto bianco e molto luminoso?
«È così, ma i rari elementi di arredo hanno invece colori vivi, come il rosso, l’arancio, il verde acido. I pezzi più significativi che vi vivono sono contemporanei come la poltrona Pop Up di Gaetano Pesce, le poltroncine in tessuto colorato di Ron Arad, il tavolo Less di Jean Nouvel, le sedie Seven di Jacobsen, lo scrittoio di Achille Castiglioni per De Padova».
Grande passione per il design?
«Certamente ma tanti altri pezzi vengono invece dai mercati delle pulci di tutta Europa, pezzi senza nome, ma dalle linee davvero pure. Spesso intervengo su questi mobili di recupero, scomponendoli in più parti o variandone la destinazione d’uso: un pezzo porta-bombole per cucina si trasforma in mobile da bagno, per rendere meglio l’idea».
Tessuti e tappeti?
«La maggior parte sono antichi e vengono da zone di produzione più sofisticate e importanti».
La sua cucina?
«L’ho voluta grande e pratica. Adoro cucinare ma non avendo poi molto finisco con l’essere aiutata da familiari e amici».


I suoi artisti preferiti?
«Tutti riguardano l’arte contemporanea, come Alighiero & Boetti, Anish Kapoor e Daniel Buren. Mi fanno sentire perfettamente in linea con i tempi».
La sua casa ideale esiste?
«Nei miei sogni c’è un patio e un giardino fiorito in una casa in riva al mare, su un’isola greca».

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