di Isabella Calogero
Avessimo marcato anche solo mezzo punto in meno, tutta la stampa europea non sarebbe impegnata in queste ore nella meticolosa glorificazione del suo team e soprattutto del capitano Montgomerie. Fortuntamente le cose sono girate per il verso giusto e quei mezzi puntarelli tricolori che qualche volta hanno lasciato l'amaro in bocca ai tabloid britannici, alla fine si sono rivelati dolci come il miele e decisivi come un match point. Altrimenti a farne le spese, oltre all'ectoplasma di Harrington, ci sarebbero stati anche i «Molinaris»: incolpevoli in campo, ma, come insegna la prima Ryder di Rocca, colpevoli di essere italiani e dunque figli di un dio (golfistico) minore. Dunque si è vinto, soprattutto perché, per dirla alla Dumas, «tutti per uno, uno per tutti» è stata la filosofia dell'Europa. Lo spirito di servizio mostrato in campo da tutti i nostri si è dunque rivelato, manco fosse un altro giocatore, decisivo ai fini del risultato: ecco, al team a stelle e strisce, invece, è proprio mancato quest'apporto fondamentale.
Gli americani sono sembrati in alcuni casi come i numeri primi: vicini si, ma mai abbastanza per toccarsi e sostenersi veramente. Soprattutto alcuni dei big, quelli cosparsi di lucidante tanto erano splendenti allo sbarco in Galles. Il Mickelson dal mood vacanziero visto nelle prime giornate di gara, è parso infatti intenso e concentrato come lo spettatore di una televendita di pentole e coperchi. Il che la dice lunga sul minimo sindacale raccimolato a Newport.
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