Hamas non vuol fare prigionieri: "La nostra missione è uccidere e tornare a casa"

Amer Abu Ghosha faceva parte del commando dell'unità Nukhba che ha assaltato il kibbutz di Kfar Aza. Dalle sue parole trapela il fatto che l'obiettivo di Hamas non sia liberare i palestinesi, ma massacrare gli ebrei

Hamas non vuol fare prigionieri: "La nostra missione è uccidere e tornare a casa"
00:00 00:00

Quando i terroristi di Hamas sono entrati in territorio israeliano nelle prime ore del 7 ottobre, il loro obiettivo non era condurre un’azione militare contro le forze di difesa israeliane. “La nostra sola missione era uccidere. Non rapire. Uccidere ogni persona e tornare a Gaza”. Amer Abu Ghosha, un membro dei commando Nukhba dell’organizzazione palestinese catturato dalle Idf, ha raccontato quel giorno terribile agli interrogatori israeliani.

L’uomo faceva parte degli squadroni che hanno attaccato il kibbutz Kfar Aza, Entrati a bordo di una jeep dopo aver fatto esplodere il cancello della comunità, lui e gli altri terroristi sono andati casa per casa, dando fuoco alle abitazioni e sparando alle persone. “Siamo entrati in un’abitazione e abbiamo sentito le voci di bambini piccoli nella safe room (le stanze sicure in cui la popolazione si rifugia in caso di attacchi, ndr)”, ha affermato Abu Gosha in un video diffuso sul profilo X delle Idf. “Abbiamo sparato alla safe room. Abbiamo sparato alla porta finché non abbiamo più sentito alcun rumore”.

Nella religione musulmana è logico uccidere i bambini?”. Alla domanda dell’interrogatore israeliano, il terrorista ha risposto senza esitazione: “No”. “Cos’ha detto il profeta Maometto a riguardo?”, ha incalzato l’agente dello Stato ebraico, e di nuovo Abu Gosha non ha dato segni di tentennamento: “I bambini non devono essere coinvolti”. Agli affiliati dell’organizzazione fondamentalista che predica la jihad come unica via per risolvere la questione palestinese, dunque, sono arrivati ordini che contrastano con un hadith (tradizione con valore politico e religioso) della più alta autorità dell’islam dopo Allah stesso. Evidentemente, per Hamas l’odio antisemita e il desiderio di distruggere lo Stato ebraico hanno la precedenza sul credo di cui si professano campioni.

La confessione di Abu Gosha, inoltre, sembra essere in diretta contraddizione con ciò che hanno dichiarato le alte sfere di Hamas immediatamente dopo l’attacco. Moussa Abu Marzuok, membro di spicco dell’ufficio politico dell’organizzazione, ha dichiarato il 10 ottobre che solo “alcuni civili” sono stati uccisi durante l’attacco e che il suo gruppo “rispetta tutte le leggi internazionali e morali”, scaricando su Israele la responsabilità delle morti innocenti. “Gli obiettivi principali erano postazioni militari”, ha affermato Abu Marzouk, definendo le 260 vittime al “Supernova festival” una coincidenza perché “potevano sembrare soldati a riposo”. "Non volevamo colpire i civili, ma ci sono state complicazioni sul terreno", ha dichiarato Ghazi Hamad, consigliere del movimento terroristico. "C'era una festa e l'area delle operazioni era ampia, circa 40 chilometri".

Da ciò che mi è stato mostrato, non c’è differenza tra noi e l’Isis”, ha continuato Amer Abu Gosha. “I miei genitori non sanno che sono parte di Hamas. Se mio padre lo venisse a sapere, mi ucciderebbe per le cose che ho fatto”. Al netto di queste frasi, quasi un’ammissione di colpa pur senza un rimorso evidente, rimane solo l’incognita degli ostaggi. Se effettivamente l’obiettivo della brigata Nukhba era solo compiere un massacro, si può ipotizzare che vi fossero altre unità incaricate di catturare i cittadini israeliani, da usare come merce di scambio in eventuali trattative con Tel Aviv.

In ogni caso, le parole di Abu Gosha sono uno schiaffo a tutti coloro che sostengono la legittimità delle azioni dei terroristi e definiscono la carneficina del 7 ottobre come “un’azione militare”. Su 1.400 morti, solo poco più di 300 sono soldati. Non vi è dubbio sul fatto che i capi di Hamas mentono che l’obiettivo non era attaccare le infrastrutture dell’Idf, ma uccidere quante più persone possibile.

Le fotografie delle camerette di bambini crivellate di colpi e lorde di sangue e gli innumerevoli video delle atrocità trapelati in rete dovrebbero essere una testimonianza sufficiente del fatto che i terroristi non combattono per la causa dei palestinesi, ma solo per riversare sugli innocenti il loro odio antisemita.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica