Rischia di saltare l’accordo sulla tregua tra Israele e Hamas. Dopo una intensa giornata di trattative tra Hamas e i Paesi mediatori, Qatar, Egitto e Stati Uniti, e prima della sospensione serale e del rinvio a oggi per un secondo round, le distanze sembrano sempre profonde. Hamas ha ribadito che «non accetterà in nessun caso un accordo che non includa esplicitamente lo stop della guerra a Gaza», come ha detto un alto funzionario ad Al-Jazeera. Secondo l’organizzazione che Israele considera terroristica il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è il principale ostacolo alla conclusione di un accordo: «Le nostre informazioni confermano che sta ostacolando un accordo per motivi personali» e «sta cercando un accordo per recuperare i suoi ostaggi senza collegare questo alla fine dell’aggressione».
La proposta sul tavolo prevede una pausa di 40 giorni nell’offensiva di Tel Aviv nella Striscia, accompagnata dal rilascio di prigionieri palestinesi in cambio della liberazione degli ostaggi rapiti durante il terribile attacco di Hamas del 7 ottobre che ha dato inizio al conflitto.
Tra loro, Tel Aviv è pronta a includere anche Marwan Barghouti, leader di Fatah che sta scontando cinque ergastoli. Andrebbe a Gaza e non in Cisgiordania.
La delegazione di Hamas è guidata da Khalil al-Hayya, numero due del ramo politico di Gaza. Un alto funzionario di Hamas ha detto ad Al Jazeera che l’insistenza di Netanyahu affinché Israele entri a Rafah, indipendentemente da un potenziale accordo per lo scambio di ostaggi, è un «elemento chiave» in discussione nei colloqui in corso.
In giornata l’accordo era sembrato vicino. Secondo il quotidiano palestinese Al-Quds, il gruppo islamista sarebbe stato disposto ad accettare la prima fase senza il ritiro delle truppe israeliane da Gaza perché crede di avere ancora carte da giocarsi per esempio «l’identità di alcuni dei rapiti, soldati dell’Idf che sono ancora vivi». Anche alti funzionari israeliani avevano confermato prime indicazioni secondo le quali Hamas accetterebbe di portare a termine la prima fase dell’intesa con il rilascio umanitario degli ostaggi senza un impegno ufficiale da parte dello Stato ebraico di porre fine alla guerra. Ma a smentirle è arrivata la dichiarazione ufficiale di Taher Nunu, consigliere del capo di Hamas, Ismail Haniyeh: il gruppo sta valutando le proposte al tavolo del negoziato «con piena serietà e responsabilità», ma ribadisce la sua richiesta che qualsiasi accordo includa il ritiro israeliano da Gaza e la fine della guerra, condizioni che Israele ha precedentemente rifiutato. Ma secondo il giornale Asharq Al-Awsat Tel Aviv non si oppone più alla richiesta di rilasciare Marwan Barghouti.
Secondo il sito americano Axios, il capo della Cia, William Burns, si trova già nella capitale egiziana. Lo Stato ebraico però invierà una sua delegazione solo se ci saranno progressi su questo tema, e ha aggiunto che ci si aspetta «negoziati difficili» per raggiungere un accordo concreto. È poi intervenuto a gamba tesa, il membro del gabinetto di guerra Benny Gantz: «Hamas non ha ancora risposto formalmente all’ultima proposta». «Consiglio alle “fonti diplomatiche” e a tutti gli altri protagonisti delle decisioni di attendere gli aggiornamenti ufficiali, di agire con moderazione e di non farsi prendere dall’isteria per motivi politici - ha tuonato - Quando Hamas presenterà una risposta, il gabinetto di guerra si riunirà per deliberarla».
E ieri decine migliaia di manifestanti a Tel Aviv e un centinaio a Gerusalemme hanno protestato per chiedere il rilascio degli ostaggi e a favore dell’accordo che è al centro dei colloqui con Hamas. A Tel Aviv, riferiscono i media israeliani, 12 manifestanti sarebbero stati arrestati per aver tentato di bloccare l’autostrada Ayalon.
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