Un vero sostegno (non solo a parole)

Un vero sostegno (non solo a parole)
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Forza Israele, Viva Israele! Lo scrivo ancora. Lo sto scrivendo però da troppi anni. Quando si alza la voce in sua difesa, vuol dire che è tardi, e contro Israele è già partita una nuova aggressione, e i corpi degli ebrei assassinati sono per strada. Questo è ciò cui stiamo assistendo, mentre le voci degli ipocriti chiedono a Netanyahu una risposta «moderata», come se si potesse rispondere a chi ti dà guerra con una mezza guerra, un quarto di guerra, un pezzetto di missile e un carro armato con un cannolo al posto del cannone.

All'alba di ieri, il fatto è noto, lo Stato ebraico è stato colpito a tradimento. Perché non mi stupisco? Perché i palestinesi e in generale i musulmani sono specialisti nel ramo. Tu stai pregando, riposando, gustando il sorriso dei figli? Tempo perfetto per pugnalarti alle spalle. Accadde nel 1973, gli Stati arabi approfittarono dello Yom Kippur, festa ebraica dell'Espiazione che impone sacra tregua e immobilità, per ordire un'aggressione su vasta scala. Così ieri mattina per il Sukkot, la Festa delle Capanne, dove si dovrebbe vivere la «pura gioia», secondo la tradizione dei palestinesi e degli islamici in generale, si è scelto di pugnalare alla schiena in nome di Dio, nel caso Allah, mentre gli ebrei stavano pregando Jahvè non nei rifugi, ma in capannucce tirate su nei cortili per ricordare i 40 anni nel deserto. Non sono esperto di religioni, ma anche stavolta segnalo che la ragione per sparare 5mila razzi in pochi minuti, infiltrare commando di killer, è stata la «profanazione delle moschee da parte degli ebrei», da cui il nome dato all'aggressione: «Diluvio Al Aqsa» (il nome della moschea di Gerusalemme). Somiglia molto alla dichiarazione di guerra di Osama Bin Laden dell'11 settembre 2001, quella contro gli ebrei e i crociati. I crociati da tempo se la sono data a gambe da quelle parti. E, visto come si sono comportati in Irak e in Afghanistan, meglio così. Ma esisterà pure una maniera meno cretina delle guerre per la democrazia di evitare il suicidio dell'Occidente. Per me intanto coincide con il sostegno senza se e senza ma a Israele.

Esiste una sola linea politica sensata del nostro governo a questo punto, e mi pare che ce ne siano i presupposti nelle dichiarazioni di Meloni e dei suoi ministri: bisogna determinare le condizioni per il disarmo delle entità statali o all'ombra di Stati che (...)

(...) minacciano Israele. Non sto chiedendo di dispiegare portaerei, che peraltro non abbiamo, davanti alle coste del Libano o nel Golfo Persico, ma di non acquietarsi nella solidarietà verbale. Alle dichiarazioni devono conseguire atti di amicizia e di inimicizia. Non possiamo più consentire che questa Nazione sia perennemente esposta al rischio di annientamento. Anche per ragioni che gli esperti chiamerebbero geopolitiche, ma che, senza citare Kissinger, equivalgono al buon senso. La salvezza di Israele significa la nostra salvezza. Dice la Bibbia: sugli spalti delle tue mura porrò come presidio la salvezza. Beh, bisognerebbe dare una mano, direi due. Rendiamoci conto che, se Gerusalemme dovesse perdere una guerra, una qualsiasi guerra, non ci potrebbe essere rivincita per i suoi giusti: verrebbero spazzati via. La sfida è totale da parte di chi vuole fare di Israele un cumulo di macerie.

Sia chiaro. L'operazione, a mio avviso, è destinata a fallire perché gli ebrei sono culturalmente e tecnicamente molto evoluti, direi superiori, e sono in grado di vincere ancora. Ripeto: ancora. Ma fino a quando? A Gerusalemme, nel Giardino dei giusti, c'è anche un albero a me dedicato.

Mi dispiacerebbe che un tizio in kefiah, la sciarpa palestinese, magari affiancato da qualche simpatizzante nostrano, lo strappasse. Per meritare la mia simbolica presenza in Terra Santa non ho fatto quasi nulla. Vorrei fare di più. Tutti dovremmo fare di più. Viva la Stella di Davide!

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