Guinness, la bruna che compie 250 anni

La prima distilleria fu fondata il 24 settembre 1759 a Dublino. Dieci anni dopo già era esportata in Inghilterra, oggi viene prodotta in 35 paesi e ha fatto scuola anche negli slogan pubblicitari

Guinness, la bruna che compie 250 anni

Arthur Guinness aveva 34 anni nel 1759. Era il 24 settembre e quel giorno avrebbe segnato sul calendario una data fatidica che, oggi, a due secoli e mezzo di distanza viene ricordata con festeggiamenti e celebrazione. Il 24 settembre 1759 apriva infatti la distilleria di birra Guinness, il marchio forse più noto al mondo. Tutto si svolgeva a Saint James Gate, Dublino. Arthur Guinness, il fondatore, tutt'altro che un beone, anzi un fedele seguace degli insegnamenti metodisti di John Wesley e creatore delle prime scuole domenicali, aveva messo in piedi la distilleria di Eixip, quartiere Kildare, ma dovette attendere ancora un triennio prima di vedere decollare il suo progetto.
Solo quando riuscì a rimettere a posto una vecchia azienda e a decidere di usare l'orzo arrostito, riuscendo così a dar vita a una birra di tipo «porter», il progetto realmente decollò. E da allora il successo della Guinness fu crescente. Dieci anni dopo veniva esportata in Inghilterra e, nel tempo, quella bruna irlandese avrebbe varcato i confini per approdare in ogni stato del continente e non solo. Divenuta un prodotto familiare ai più, generò una vera e propria tecnica di versamento nel bicchiere che ne fece nei secoli una birra di culto, più che una semplice bevanda dissetante.
In un primo momento, infatti, si raccomanda di riempire la pinta a tre quarti e la si lascia riposare finché non si forma una linea bianca di schiuma, denominata anche «collare del vescovo» e soltanto successivamente si può riempire il bicchiere fino alla sommità. Anche le campagne pubblicitarie che accompagnarono la diffusione della Guinness ricalcarono il prodotto che sponsorizzavano, diventando un «must» nei costumi linguistici, più che altro familiare nei paesi anglosassoni. Lo slogan «My goodness, my Guinness» finì presto sulla bocca di tutti nel Regno Unito, riecheggiando ad ogni occasione con l'effetto di richiamare alla memoria la spumeggiante birra del signor Arthur.
Oggi la bruna è prodotta in 35 Paesi del mondo e la dinastia di Arthur Guinness non ha smesso di far parlare di sé. L'ultimo aneddoto ha coinvolto proprio qualche giorno fa una delle ultime rampolle della famiglia, Claire Irby, accusata ma poi in realtà assolta dal giudice, di aver dato vita a uno spogliarello in aereo e di essersi abbandonata a effusioni con uno sconosciuto compagno di viaggio.

Tutto falso, insomma secondo il tribunale, ma quanto è bastato per ripiombare la famiglia Guinness sui titoli dei giornali, una trentina di anni dopo il misterioso suicidio di lady Henrietta Guineess che nel 1978 si buttò da un acquedotto a Spoleto, trovando la morte. Una maledizione iniziata nel lontano 1944 con un'altra morte violenta, quella del barone Walter Edward Guinness, assassinato al Cairo, in circostanze oscure, cui seguirono incidenti stradali e annegamenti.

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