Hayek e la libertà di conoscere (e sbagliare)

Negli scritti di epistemologia e psicologia, ora raccolti in volume, l'economista austriaco Friedrich von Hayek confuta già lo scientismo. Anche in politica

Hayek e la libertà di conoscere (e sbagliare)

Anche chi ha una conoscenza solo superficiale di Friedrich von Hayek (1899 - 1992) sa che questo economista liberale ha riflettuto in termini originali sul tema della conoscenza, al fine di avanzare critiche fondamentali a pianificazione e dirigismo. Poiché la nostra comprensione della realtà è sempre inadeguata e poiché le informazioni sugli stati di fatto disponibili sono disperse (ognuno di noi ne possiede solo qualche frammento), è assurdo affidare a qualche comitato composto da scienziati e burocrati il compito di gestire la società.

Pochi sanno, però, che questo esito poggia su una ben precisa riflessione sulla psicologia teorica e sull'epistemologia. Grazie a Lorenzo Infantino è ora disponibile un volume Conoscenza e processo sociale, edito da Rubbettino (pagg. 472, euro 32) che raccoglie gli scritti di Hayek su questi temi, attingendo da alcuni dei suoi lavori più classici. Si tratta di una pubblicazione che evidenzia come Hayek sia stato uno studioso inattuale anche nel suo saper muoversi entro discipline diverse: qualcosa di assai poco comune in un universo accademico ormai da tempo dominato da uno specialismo sempre più estremo.

Come Infantino sottolinea nell'Introduzione, nei suoi anni universitari Hayek era stato fortemente attratto dallo studio della psiche umana e di quel periodo sono anche pagine che saranno pubblicate solo molti decenni dopo: quando nel 1946 darà alle stampa L'ordine sensoriale. E sono proprio le ricerche sulla psicologia teorica che lo portano a riflettere in maniera sempre più intensa sulle questioni gnoseologiche.

In questi studi egli si confronta con il pensiero di Ernst Mach, il quale era convinto che esista una perfetta corrispondenza tra elemento psichico e fisico, senza in questo riuscire a dare ragione del fatto ad esempio che uno stimolo fisiologico può convertirsi in un dato psichico. Prendendo le distanze da Mach, il giovane studioso viennese avvierà un percorso intellettuale che lo condurrà a pensare in maniera assai originale l'economia, il diritto, la politica.

Già Carl Menger, nella sua polemica con Gustav von Schmoller e con gli storicisti, aveva sottolineato il carattere teorico della scienza economica, la quale elabora concetti fondamentali per la comprensione dei fatti singoli; e Hayek assorbirà quella lezione. In seguito l'incontro con Karl R. Popper favorirà ulteriormente il suo approdo verso una prospettiva che tagliava definitivamente i ponti con il positivismo della Vienna dei suoi anni universitari. Il risultato sarà un evoluzionismo a tutto tondo in psicologia, epistemologia, economia, filosofia politica che poggia sull'idea che la nostra mente non è il nostro cervello, ma qualcosa che prende forma nel corso degli anni grazie a esperienze, scambi e acquisizioni che non annullano il corredo genetico, ma certo lo trascendono.

La mente, il mercato e il diritto sono dunque il risultato di processi assai complessi che non possono essere descritti in termini lineari. È ovvio che nessun fenomeno specifico può essere semplicisticamente ricondotto a forme generali, ma noi leggiamo la realtà a partire da schemi e modelli astratti grazie ai quali riusciamo a sviluppare una comprensione pur sempre imperfetta del fenomeno che intendiamo conoscere. I quadri concettuali dell'evoluzionismo, in questo senso, sono uno strumento fondamentale che Hayek utilizza per afferrare il reale. Quella teoria ci offre allora un quadro concettuale in grado di farci intendere realtà che mai potremo afferrare nella loro interezza.

Al centro di queste pagine troviamo una decisa critica allo scientismo: a una certa idea (assai ristretta) del modo in cui gli scienziati lavorerebbero, che poi è stata pure estesa dalle scienze dure a quelle umane, favorendo l'imporsi di logiche autoritarie e tecnocratiche. Se la realtà è molto più complessa di quanto non possano dirci poche semplici leggi (poiché ogni sistema è aperto e in relazione con altri), la stessa pretesa di organizzare la società dall'alto in nome della scienza è destinata al fallimento.

Nel 1933 egli critica con queste parole le logiche dell'antropomorfismo, che ci portano a vedere dietro a ogni fenomeno una deliberazione specifica, così che ad agire non sarebbero soltanto gli individui, ma anche le nazioni, le classi, le culture e via dicendo: «Nelle scienze naturali, abbiamo gradualmente cessato di seguire tale via e abbiamo appreso che l'interazione fra differenti tendenze può produrre quel che chiamiamo ordine, senza che alcuna mente della propria stessa specie lo regoli». Ancora oggi, però, ben pochi hanno chiaro che per avere un qualsivoglia ordine non c'è necessariamente bisogno di un soggetto specifico che metta ordine.

Le implicazioni sociali e politiche di queste riflessioni sono allora evidenti. Con questa sua teoria della conoscenza Hayek rigetta un'intera tradizione cartesiana e razionalistica, portata poi a tradursi nell'idea (si pensi a Hans Kelsen) che la norma può essere il risultato di una volontà umana.

La riscoperta di un diritto evolutivo e tradizionale, caratteristico della tradizione inglese, poggerà anche e soprattutto su questa teoria evolutiva della conoscenza.

Questo curato da Infantino, allora, è un volume di grande originalità: un mosaico di tessere che per la prima volta vengono accostate l'una all'altra, consentendo di cogliere meglio il disegno complessivo.

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