C'è chi la definisce «escalation di violenza» (Stefano Maullu, deputato di Fratelli d'Italia), chi si spinge ad accomunare il Corvetto alle «banlieue europee» (Romano La Russa, assessore alla Sicurezza di Regione Lombardia), chi esorta il sindaco Sala, di fronte a questa «guerriglia urbana» a presentarsi nel quartiere non solo con «i suoi video social e in campagna elettorale» (Alessandro Verri, capogruppo della Lega a Palazzo Marino) e ad accendere «un faro su quartieri difficili alle prese con degrado, abbandono e microcriminalità» (Mariastella Gelmini, senatrice di Noi Moderati - Centro Popolare). Oppure chi, come il vice premier Matteo Salvini parla senza mezzi termini di «criminali da punire», chiosando con interrogativi d'effetto: «Ma vi pare normale? È questa la società che vogliono gli accoglienti e solidali?». Senza dimenticare però il côté forze dell'ordine, vittime di «un'aggressione inaudibile ed inconcepibile» (Massimiliano Pirola, segretario provinciale del sindacato di polizia Sap).
Un più che comprensibile sdegno generale che, purtroppo, non cela qualche ovvietà: non solo nessuno, né le istituzioni né le forze dell'ordine, è riuscito a cogliere i segnali di una imminente e violenta insurrezione in un'area periferica milanese, quella a sud di Milano - compresa tra viale Molise, il Corvetto e fino a tutta la via Ripamonti - da anni e anni ormai territorio di spaccio e microcriminalità. Ma nemmeno si era pronti, dalle varie cabine di comando, ad affrontare una serie di reazioni che potrebbero coinvolgere e inglobare, come nel più classico degli effetti domino, altri quartieri milanesi e altre realtà di scontento (senza contare la fin troppo scontata adesione degli anarchici) che non esiteranno a cavalcare il dissenso. La morte del giovane egiziano Ramy Elgaml, avvenuta nella notte tra sabato e domenica dopo la caduta da uno scooter guidato da un amico e durante un inseguimento ingaggiato con una autoradio dei carabinieri, vista adesso sembra infatti solo la miccia che ha fatto esplodere una gigantesca polveriera. Mentre fa riflettere che il giovane montenegrino arrestato dalla polizia lunedì sera dopo i disordini scoppiati all'angolo tra via dei Cinquecento e piazzale Gabrio Rosa, come ha sottolineato ieri ai cronisti il pm Marco Cirigliano, non fosse del posto e venisse bensì dalla zona più popolare di San Siro.
Così, mentre il procuratore capo Marcello Viola tende a circoscrivere il malessere con un sano pragmatismo («parliamo sempre e comunque di un incidente»), il Viminale manda rinforzi, almeno una trentina di uomini in più anche per fronteggiare uno dei periodi dell'anno più problematici dal punto di vista dell'ordine pubblico (siamo a ridosso della Prima della Scala e delle folle che arrivano a Milano in prossimità delle feste natalizie). Di «aumento strutturale per il presidio del territorio» con l'arrivo di oltre 500 uomini, ha parlato invece al Tg1 ieri sera il questore Bruno Megale.
Intanto i muri del Corvetto, le vie attorno a quella dove Ramy abitava la famiglia, vengono tappezzate con il suo nome.
La sensazione è che non sia finita qui, che ci saranno ancora tensioni, cassonetti ribaltati e bruciati, petardi e fumogeni lanciati contro le forze dell'ordine. Anche se, come ha sottolineato ieri un amico del giovane morto all'Agi: «È gente che non conosce Ramy e ne approfitta per fare casino». Ed è questo a far paura.
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