Il tumore alla vescica rappresenta il 3% di tutte le neoplasie e, in ambito neurologico, è secondo solo al cancro della prostata.
Maggiormente comune fra i 60 e i 70 anni, colpisce in maniera più frequente gli uomini. Esistono diverse tipologie della malattia. Nel 90% dei casi viene diagnosticato il cosiddetto carcinoma delle cellule di transizione o uroteliale che si sviluppa a livello delle cellule che formano il rivestimento interno della parete vescicale. Secondo recenti stime, in Italia la sopravvivenza a cinque anni è dell'80% circa, tuttavia le possibilità di recidiva sono abbastanza elevate.
Cause e sintomi del tumore alla vescica
Purtroppo le cause del tumore alla vescica non sono ancora note con precisione, esistono però fattori di rischio che facilitano la sua comparsa. Tra questi ricordiamo:
- Il sesso maschile
- L'età avanzata
- Il fumo di sigaretta
- L'esposizione professionale agli idrocarburi policiclici aromatici
- Le infezioni vescicali provocate Schistosoma Haematobium
- Le infiammazioni urinarie croniche
- Il trattamento chemioterapico
- Un consumo eccessivo di grassi, caffè e dolcificanti naturali.
Come spesso accade per altre forme cancerose, anche il tumore alla vescica non presenta sintomi specifici e le manifestazioni possono essere confuse con quelle di altri disturbi urologici, come l'ipertrofia prostatica benigna. Nell'80% dei casi il segno clinico d'esordio è rappresentato dalla presenza di sangue nelle urine.
Il paziente può accusare anche: pollachiuria, stranguria, tenesmo, infezioni del tratto urinario, minzione intermittente, dolore addominale e/o alla parte bassa della schiena.
Le mutazioni che guidano il tumore alla vescica
Gli scienziati della Weill Cornell Medicine e del New York Genome Center hanno compreso come mai prima d'ora il modo in cui il tumore alla vescica ha origine e progredisce. Nello specifico il team, guidato dal ricercatore in ematologia e oncologia medica Bishoy Faltas, ha scoperto che gli enzimi antivirali che mutano il DNA delle cellule sane e di quelle neoplastiche sono promotori dello sviluppo precoce del cancro vescicale. Inoltre è giunto alla conclusione che la chemioterapia standard è una potente fonte di mutazioni.
I ricercatori hanno altresì capito che i geni iperattivi all'interno di strutture anomale di DNA guidano la resistenza della malattia alla terapia.
Lo studio: il ruolo degli enzimi APOBEC3
Lo studio si è concentrato sulla principale tipologia di tumore alla vescica, il carcinoma uroteliale e si è basato sul prelievo delle cellule uroteliali maligne e pre-maligne prelevate dallo stesso gruppo di pazienti in differenti stadi della malattia. Gli scienziati hanno utilizzato il sequenziamento dell'intero genoma e metodi computazionali avanzati al fine di mappare le mutazioni del DNA, le varianti strutturali complesse e la loro tempistica.
Sono così state trovate prove evidenti del fatto che gli enzimi APOBEC3 causano mutazioni precoci in grado di innescare la neoplasia vescicale. Questi enzimi si sono evoluti per disabilitare l'infezione dei retrovirus modificando il loro DNA virale, anche se è noto che a volte possono mutare il DNA delle cellule.
I ricercatori hanno poi concluso che il cisplatino e altre chemioterapie a base di platino sono responsabili di ulteriori mutazioni, alcune delle quali molto probabilmente consentono alle cellule tumorali uroteliali di sopravvivere meglio e di diffondersi nonostante il trattamento.
I risultati dello studio pubblicato sulla rivista Nature aprono le porte allo sviluppo futuro di nuove strategie terapeutiche, soprattutto per quelle forme cancerose particolarmente resistenti alle cure.
Un'altra importante scoperta
Una terza scoperta importante è stata che il cancro uroteliale di frequente contiene complessi riarrangiamenti del suo DNA che dà origine a segmenti circolari di DNA. Tali "DNA extra-cromosomici" (ecDNA) esistono oltre ai cromosomi del nucleo cellulare e talvolta possono ospitare centinaia di coppie di geni di crescita che guidano il tumore. Questi eventi di ecDNA persistono e diventano più complessi, incorporano nuovi segmenti di DNA dopo il trattamento e promuovono la resistenza alla terapia.
La nuova consapevolezza ha spinto il team a modellare sperimentalmente una versione dell'ecDNA chiamata CCND1, un regolatore principale del ciclo cellulare in laboratorio.
I risultati hanno dimostrato che CCND1 in questa configurazione extracromosomica guida la resistenza al trattamento. Servono ora ulteriori indagini, ma gli scienziati si dichiarano ottimisti.Leggi anche:
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